Covid-19 e violenza di genere: Unicef, il Rapporto “Non ero al sicuro in casa sua”

Si intitola “Non ero al sicuro in casa sua” ed è l’indagine qualitativa diffusa oggi dall’Unicef che fa luce sull’impatto negativo della pandemia su ragazze e donne rifugiate e migranti in Italia. Secondo gli ultimi dati disponibili a livello nazionale (Istat, 2015), il 31,5% di ragazze e donne tra i 16 e i 70 anni in Italia ha subito una qualche forma di violenza fisica o sessuale nel corso della propria vita, spesso per mano dei partner attuali o degli ex. Mentre le percentuali complessive sono simili, per le ragazze e le donne straniere risulta più alta la probabilità di subire violenze fisiche (25,7% contro 19,6% delle ragazze e donne italiane).  Lo studio esplora gli impatti della pandemia sui rischi di esposizione alla violenza di genere tra le ragazze e le donne rifugiate e migranti in Italia ed è stato condotto congiuntamente dall’Ufficio Unicef per l’Europa e l’Asia Centrale, dal Centro di ricerca dell’Unicef – Innocenti e dall’Università di Washington a St. Louis. L’analisi prende il via da un’indagine qualitativa che ha coinvolto circa 100 donne rifugiate e migranti e 50 operatori e esperti coinvolti in programmi di protezione e supporto in tre regioni italiane: Lazio, Lombardia e Sicilia. Dal rapporto “emerge come la pandemia di Covid-19 abbia aumentato il rischio di violenza di genere per le ragazze e le donne rifugiate e migranti. Il distanziamento sociale ha aumentato il senso di solitudine di molte ragazze e donne rifugiate e migranti, per le quali l’accesso a reti familiari e amicali d’appoggio è già limitato. Le madri single risultano essere state particolarmente colpite dalla pandemia, a causa delle difficoltà a provvedere ai bisogni della famiglia e delle accresciute responsabilità nella cura dei figli. L’inclusione socio-economica delle ragazze e delle donne rifugiate e migranti è stata inoltre penalizzata dall’interruzione dei percorsi di apprendimento, specialmente linguistici. Dall’indagine emerge anche la grande capacità di resilienza di ragazze e donne migranti e rifugiate, che sin da subito si sono attivate per favorire reti di sostegno sociale, occasioni di incontro e di partecipazione alla vita di comunità quando permesso dalle restrizioni. Dai risultati della ricerca emergono una serie di raccomandazioni tra cui la necessità di: “dare priorità allo sviluppo e all’attuazione di meccanismi di prevenzione e mitigazione della violenza di genere e rafforzare l’empowerment di ragazze e donne rifugiate e migranti; promuovere l’accesso inclusivo e sicuro ai servizi di contrasto alla violenza di genere e rafforzare la capacità di risposta ai bisogni specifici di rifugiate e migranti; rafforzare la preparazione e la capacità di adattamento dei servizi di contrasto alla violenza di genere a livello locale e centrale per assicurare la tempestiva presa in carico in caso di crisi future”.

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