Libano: esplosioni a Beirut. La testimonianza di Anna Maria Ward, “paesaggio apocalittico, ma oggi la città si è rialzata in piedi”

(Foto: ANSA/SIR)

Tutto distrutto. Un’apocalisse. “Mio marito ha vissuto qui 30 anni di guerra e mi ha detto: ‘Anna, ci vuole un mese di bombardamenti per ridurre Beirut così’. Pensi quindi la distruzione che in tre secondi questa deflagrazione ha causato. Tutta Beirut oggi ha i vetri esplosi. Tutta. Abbiamo di fronte ai nostri occhi un paesaggio apocalittico”. È la testimonianza da Beirut di Anna Maria Ward, italiana, moglie dello stilista Tony Ward, da 25 anni in Libano. Sebbene abiti nella zona cristiana di Ashrasieh, distante dal porto 5/6 chilometri, per fortuna ieri al momento della esplosione non era in casa ma in una zona più lontana, verso l’aeroporto. “Abbiamo sentito come un terremoto”, racconta. “L’edificio dove stavo ha cominciato a tremare. Anche se lontani dal punto dell’esplosione, l’onda d’urto è stata fortissima e ha fatto esplodere tutti i vetri. Ci siamo tutti guardati. Per fortuna a causa del caldo, nell’ufficio in cui mi trovavo avevamo chiuso le tapparelle ma altrove le schegge hanno colpito le persone. C’è stato il panico, gente che gridava, correva per strada. Era evidente il riflesso di un popolo che ha vissuto la guerra. Gridavano: ‘State lontani dai vetri’. E soprattutto quando non si sa cosa esattamente è successo, ci si aspetta che ci sia un’altra esplosione ma non si sa come, non si sa da dove, se più vicina o più lontana. È il panico”.

Il bilancio purtroppo è ancora provvisorio. Fonti locali parlano di oltre 100 morti e 4mila feriti. “Sulle strade, hanno cominciato a sfilare ambulanze a sirene spiegate”. Ancora questa mattina, si sentono al telefono le sirene. “Anche gli ospedali – racconta Anna Ward – sono purtroppo danneggiati. Erano già in una situazione di emergenza a causa del Coronavirus e, di fronte alle richieste, hanno preso solo i casi più gravi, mandando a casa tutti gli altri. Il figlio di un nostro vicino, per esempio, che è stato raggiunto da schegge, è dovuto andare da un medico privato per farsi curare”. Il ministro della salute libanese Hamad Hasan consiglia a chiunque possa, di andare via da Beirut, perché materiali pericolosi sprigionatisi nell’aria dopo le deflagrazioni potrebbero avere effetti a lungo termine mortali. “Anche i miei figli mi hanno detto di andare via”, conferma Anna. “Mi hanno detto che dall’alto il cielo di Beirut è diventato di un colore arancione. Qui in città non ce ne siamo accorti ma questa notte ho avuto la sensazione di respirare come qualcosa di malsano”.
In Libano, ma non solo, tutte le diplomazie internazionali sono al lavoro per accertare come e perché è successo. “Le cause non sono chiare”, ci dice Anna. “Si dicono tante cose. Oggi serpeggia comunque quasi la certezza che non si saprà mai la verità. E questo fa parte della rabbia che si respira qui”. Anna ci spiega come “questo evento così inaspettato e così tragicamente violento si innesti già in una situazione drammatica di crisi estrema sociale, economica, politica. La gente era già stremata. È alla fame, non aveva più la forza neanche di reagire contro il sistema. Questa esplosione è stata quindi un colpo di grazia su un popolo stanco che resiste, resiste, cerca di adattarsi alle situazioni più estreme di povertà e fame. Quello che colpisce del popolo libanese è la sua capacità di resilienza perché è abituata anche al peggio. Ma questo è troppo, troppo per tutti”.  Beirut però questa mattina si è risvegliata. “La solidarietà libanese è meravigliosa”, conclude Anna. “Subito tutti si sono messi a pulire. Nessuno oggi si è fermato. La gente si è rialzata in piedi. E ciò è quello che qui sono abituati a fare: ricominciare. Il Libano è un popolo che sa sempre rialzarsi in piedi, che ha voglia di vivere, capace di una solidarietà straordinaria, ma strapazzato da interessi esterni che non lo lasciano purtroppo vivere in pace”.

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