Rapporto Svimez: la crisi ha colpito duramente l’occupazione, soprattutto nel Sud, nelle fasce giovanili e tra le donne

Il blocco che si è reso necessario per fronteggiare la prima fase della pandemia è “costato” quasi 48 miliardi di euro ogni mese (il 3,1% del Prodotto interno lordo italiano), oltre 37 dei quali persi nel Centro-Nord e quasi 10 nel Sud. Lo afferma il Rapporto Svimez 2020 che per l’intero 2020 prevede un calo nazionale del Pil pari al 9,6%, con un -9,8% nel Centro-Nord e un -9% nel Sud. Ma questo andamento incide su una situazione di partenza profondamente diversa. Nel periodo della “ripresina” tra 2015 e 2018 il Pil del Centro-Nord è infatti cresciuto del 5,2%, quello del Sud del 2,5% (in un quadro che ha visto comunque il Pil italiano crescere della metà rispetto alla media europea). Secondo le stime dalla Svimez, a fine anno il Pil del Mezzogiorno risulterebbe al di sotto del suo picco minimo del 2014 e inferiore di ben 15 punti percentuali rispetto al 2007 (a fronte di un -7 del Centro-Nord). E’ sul mercato del lavoro che si vedono chiaramente gli effetti di queste dinamiche. Nei primi tre trimestri del 2020 la riduzione dell’occupazione nelle regioni meridionali è stata del 4,5% (con una perdita di 280 mila posti di lavoro), il triplo rispetto al Centro-Nord. Particolarmente colpita la fascia giovanile. I Neet, i giovani non occupati e non in formazione, sono aumentati di 141 mila unità nel Meridione e di 12 mila al Centro-Nord. “Nel complesso, per effetto di fragilità strutturali del mercato del lavoro meridionale – sottolinea il Rapporto – esiste un’area potenziale di soggetti esclusi dalle tutele, costituita da lavoratori irregolari o precari e da giovani che si stanno affacciando sul mercato del lavoro senza speranza di potervi entrare, che può raggiungere i due milioni di unità”. Anche le donne hanno ha subìto conseguenze lavorative più gravi della media. “Contrariamente alla precedente crisi (prevalentemente ‘industriale’) – osserva la Svimez – gli effetti occupazionali del lockdown si sono scaricati prevalentemente sulla componente femminile”, spesso impiegata nei servizi con contratti precari.

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