Commemorazione defunti: card. Betori (Firenze), “la morte di Gesù ci insegna che essa è il compimento della vita”

“È la morte di Gesù che deve illuminare la morte di ogni uomo, per molti fonte di angoscia e di disperazione, fino a provocarla per non doverla subire, come vorrebbero i sostenitori dell’eutanasia”. Lo ha detto oggi il card. Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, nella messa nella cattedrale di Santa Maria del Fiore, in occasione della commemorazione dei defunti. “La morte di Gesù, ci dice san Paolo, è il compimento di una vita come dono per l’umanità. Una morte ‘per’: per gli empi, per noi, per la giustificazione e la salvezza dei peccatori.
La disperazione e l’angoscia di fronte alla morte si insinuano nell’animo di chi pensa la morte come un atto estraneo alla vita, qualcosa al di fuori di essa, un evento che la chiude e quindi l’annulla. Ma la morte non nega la vita, bensì la compie. Per questo il senso della morte è svelato dal significato che prima ha assunto la vita e verso cui si è orientata”.
In questo tempo di pandemia, “la morte, da evento privato, accuratamente occultato nel dibattito pubblico, è diventato fatto pubblico, misurato giorno dopo giorno nella sua incidenza percentuale sulla popolazione, fenomeno con cui doversi inevitabilmente misurare. Perché, se è vero che non poteva mancare lo sforzo di tutti per contenere e debellare la pandemia, altrettanto evidente era che essa aveva e ha una dimensione di ineluttabilità che non può prescindere per non pochi da un esito fatale”.
Secondo il card. Betori, “tra le tante cose che questa pandemia sembra volerci insegnare, accanto a quella, fondamentale, della reciproca dipendenza nel genere umano, al primo posto va proprio collocato questo richiamo alla inesorabile fragilità della condizione umana. Ma perché il limite della fragilità non sia vissuto come una condanna, come l’ingiustizia di un dio arbitrario che ha voluto negarci l’immortalità, abbiamo bisogno di dare un senso alla morte che non sia solo di compimento ma anche di apertura. Ed è questa la seconda lezione che apprendiamo da Gesù”. Il porporato precisa: “Egli, risorto, ha oltrepassato la soglia della morte per entrare nella vita nuova e questo fatto costituisce, come ricorda l’apostolo Paolo, il fondamento di una ‘speranza che non delude’ (Rm 5,5), perché se la sua morte ci ha riconciliati con Dio tanto più la sua vita porta a salvezza eterna la nostra esistenza di creature”.
C’è dunque “una ragione per cui il cristiano può superare la paura e l’angoscia della morte: come lui e prima di lui quella soglia è stata superata per noi da Cristo. Attraversandola con la potenza del suo amore, il dono di sé stesso fino alla fine per noi empi e peccatori, il Figlio di Dio fatto uomo ha tolto alla morte ogni potere e ne ha fatto il passaggio verso la vera vita, verso il cammino in cui egli ci ha preceduti”.  Insomma “l’ira della morte non ha più potere su di noi, perché il Padre ci ha riconciliati a sé nel sangue del Figlio”.

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