Artico: Comece, “responsabilità dell’Ue di garantire una regione sostenibile e pacifica che metta al centro dell’attenzione i suoi cittadini”

Alla consultazione pubblica sul futuro della politica Ue per l’Artico ha partecipato anche la Commissione degli episcopati dell’Unione europea (Comece), “sottolineando la responsabilità dell’Ue di garantire un Artico sostenibile e pacifico che metta al centro dell’attenzione i suoi cittadini”. Lo rende noto un comunicato della Comece stessa, che ha elaborato un proprio contributo in collaborazione con Justice & Peace Europe e in dialogo con gli attori della Chiesa regionale. “La futura politica per l’Artico dovrebbe promuovere una partnership per lo sviluppo sostenibile e integrale delle persone, delle famiglie e delle comunità locali, nel rispetto del loro ambiente naturale”, si legge. Ciò significa dare una “più forte articolazione” alle “dimensioni umane”, vale a dire “la salute, la sicurezza e l’empowerment socio-economico delle comunità locali e dei lavoratori migranti presenti nella regione”. Ma vuol dire anche “rafforzare la protezione e la promozione dei diritti umani, compresi i diritti al suolo, sociali, culturali, religiosi e linguistici delle comunità indigene” e promuovere “la resilienza delle comunità locali in vista dei necessari adattamenti indotti dai cambiamenti climatici”.
Comece mette in guardia anche dalle “pratiche predatorie” che la maggiore accessibilità delle risorse naturali presenti nella regione artica a causa dello scioglimento dei ghiacci potrà scatenare. Servirà anche “un meccanismo vincolante per la responsabilità sociale d’impresa” affinché “le aziende rispettino pienamente i diritti umani, gli standard sociali e ambientali riconosciuti a livello internazionale”. E poi c’è il rischio di “frammentazione” della regione: l’Ue dovrebbe “promuovere nuove modalità inclusive di impegno multilaterale con tutti gli attori regionali e locali, comprese le comunità indigene”. In generale, per affrontare le sfide in questa regione, secondo la Comece sarebbe necessario che l’Ue riconoscesse come propri “partner naturali” le Chiese e comunità religiose, perché “promotori dello sviluppo umano sostenibile e della pace, nonché utili “moltiplicatori”.

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