Processo in Vaticano: Chaouqui, “il mio interesse era portare all’attenzione del Santo Padre la truffa a cui era stato sottoposto”

“Un’udienza molto faticosa”. Così il presidente del Tribunale vaticano, Giuseppe Pignatone, ha definito l’udienza di oggi del processo in corso in Vaticano per gli investimenti finanziari della Segreteria di Stato a Londra, durante la quale hanno deposto, separatamente, prima Genoveffa detta “Genevieve” Ciferri e poi Francesca Immacolata Chaouqui. Quest’ultima, in particolare, ha fatto molto fatica a limitare i raggi delle sue dichiarazioni , tanto che il presidente Pignatone ha chiesto di limitarsi solo ai suoi rapporti con mons. Perlasca. Di altro si parlerà in un’altra udienza, già fissata per il 16 febbraio. Chaouqui ha esordito di aver cominciato a frequentare il Vaticano nel 2009 come professionista, ma già nel 2006 era stata presentata dal card. Tauran, che l’ha “formata” per conoscere Città del Vaticano e le sue relazioni internazionali. Al momento della rinuncia di Benedetto XVI, lo stesso Tauran l’ha chiamata perché c’era bisogno di informazioni esterne che lei era in grado di fornire. Poi l’esperienza nella Cosea, dove è stata incaricata di tenere rapporti con la Segreteria di Stato. E’ stato quello il momento con cui ha cercato un contatto con mons. Perlasca. Un rapporto quasi inesistente, lo ha definito: “io lo inseguivo e lui scappava. Poi ha saputo che gli era stato dato mandato di non rispondere e non farsi trovare da me”. “Non siamo a disposizione della teste, questa non è uno show della teste”,  ha sbottato a questo punto l’avvocato Caiazzo, che difende Mincione: “Non ho mai visto una teste che fa una conferenza stampa prima di venire in aula, una vera buffonata”. “L’unica verità processuale è quella in aula, noi decideremo su quello che viene dichiarato in quest’aula”, ha precisato il presidente del Tribunale vaticano. Quanto alle “pressioni” esercitate su mons. Perlasca, affinché “dicesse la verità”, Chaouqui ha affermato di non averlo mai inviato messaggi minatori, né di aver fatto riscorso a minacce: “Il mio interesse era portare all’attenzione del Santo Padre quello che era accaduto, ovvero far capire la truffa a cui era stato sottoposto”.  “Non ho mai chiesto una grazia al Papa”, ha puntualizzato riguardo ai suoi rapporti con il cardinale Becciu, dopo il processo per lo scandalo relativo a Vatileaks due in seguito al quale era stata in parte condannata: voleva che il porporato facesse da tramite con il Papa affinché la riabilitasse. Ha detto di aver chiesto a don Paolo Lojudice, che conosce da quando era parroco, di farsi portatore al Papa della richiesta di riabilitazione, e di aver ricevuto in risposta una lettera in cui il Santo Padre le negava tale richiesta. “Ma non era il suo linguaggio”, ha commentato, e così nel 2018 – ha riferito Chaouqui interrompendosi perché scoppiata in pianto – è andata personalmente dal Santo Padre per chiedergli se avesse scritto lui quella lettera. Il Papa gli avrebbe risposto che non era una lettera scritta da lui, e che non avrebbe mai negato richiesta di perdono. Da lì, ha spiegato la teste, sono ricominciati i rapporti con Papa Francesco. Sempre riguardo ai suoi rapporti con il cardinale Becciu, Chaouqui ha riferito in aula di avergli inviato anche alcuni messaggi via Messanger, dichiarando che “era Cecilia Marogna a gestirli”.  Interpellata sul memoriale di mons. Perlasca, Chaouqui ha risposto di averlo appreso ai giornali, aggiungendo che il loro contenuto “corrispondeva grossomodo a quello del memoriale”. La teste ha inoltre chiesto di depositare agli atti  26 podcast registrati da mons. Perlasca, le cui ”aree tematiche” erano state suggerite da lei nelle chat con la Ciferri. Richiesta poi accolta dal tribunale vaticano. Almeno due avvocati, infine, hanno chiesto il confronto tra le due donne che hanno testimoniato oggi in Aula, da estendere possibilmente anche a mons. Perlasca.

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