Padre Pino Puglisi: don Di Noto, “non un eroe ma un prete coraggioso fino al sacrificio”

“Don Puglisi ha vissuto la sua vocazione cercando di comportarsi come si sarebbe potuto comportare Gesù, senza compiere azioni configurate a diventare eroiche bensì di servizio. Suo fratello una volta disse una cosa molto bella: ‘Non chiamatelo eroe, ma prete’. Un prete coraggioso fino al sacrificio”. A 29 anni dalla morte, don Fortunato Di Noto ricorda così, a Interris.it, la figura del beato Pino Puglisi, ucciso dalla mafia il 15 settembre del 1993 a Palermo. “Padre Pino Puglisi, affettuosamente chiamato anche Treppì da chi lo conosceva e gli voleva bene – prosegue don Di Noto -, non è racchiudibile nella sola definizione di ‘prete antimafia’. Don Puglisi, beato e martire della fede, è stato un sacerdote, un educatore, un insegnante, un parroco che ‘educando i ragazzi secondo il Vangelo vissuto li sottraeva alla malavita’, ha detto di lui papa Francesco. Quella malavita che lo ha ucciso appena un anno dopo le stragi di Capaci e di via D’Amelio, dove morirono i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, nel giorno del suo compleanno”.
Don Puglisi era nato il 15 settembre 1937 e la sera del 15 settembre 1993 Salvatore Grisoli, allora affiliato a Cosa nostra e poi collaboratore di giustizia, gli toglieva la vita. Don Puglisi dava fastidio alla criminalità organizzata perché portava concretamente il messaggio di amore e di speranza del Vangelo tra i piccoli e gli ultimi di Palermo, quelli che nel senso di abbandono materiale e morale rischiano di perdersi. Andava in mezzo a loro e non solo si prodigava in opere e attività, con i suoi “campi scuola” e il Centro di accoglienza “Padre nostro” , ma infondeva anche in loro un senso nuovo di amore e di rispetto.
“La cultura mafiosa si sradica con la cultura della legalità, e la legalità è un campo che necessita di essere arato e seminato costantemente. Don Puglisi è stato sicuramente, ed è ancora oggi con il suo esempio, una di quelle figure che ha avuto cura di questo campo alla luce della fede. La legalità come modus vivendi è vedere nell’altro sia l’uomo che ho di fronte che il volto di Gesù Cristo, e rispettarlo, – spiega a Interris.it don Fortunato Di Noto, fondatore e presidente dell’Associazione Meter – e don Puglisi parlava di legalità illuminato dal Vangelo, cercando il dialogo con tutti. Nelle strade di Brancaccio parlava con i bambini in modo semplice, gli trasmetteva il messaggio evangelico che è vita, amore e incontro svincolati dei legami della schiavitù e della corruzione. La legalità corrisponde alla regola e, nelle periferie, la regola salva la vita”.
A trent’anni dalle stragi in terra di Sicilia si è parlato molto del lascito di quella stagione, dell’eredità tecnica, culturale e morale di Falcone e Borsellino, come di altri prima e dopo di loro. Alla domanda su quale sia l’insegnamento di don Puglisi di cui abbiamo fatto tesoro, don Di Noto risponde che “l’eredità più bella lasciata da don Puglisi è vivere la propria vita nella pienezza e nell’innamoramento di Gesù Cristo, così come l’amore per i piccoli e i deboli e la misericordia per tutti i lontani e i nemici. Infine, Puglisi indica la via di adesione al Vangelo, nell’assolvere il suo servizio all’uomo. Padre Puglisi – conclude – è un modello di cristiano e di prete, un prete coraggioso fino al sacrificio. Don Puglisi si faceva animo – perché ‘coraggio’ significa ‘farsi animo – nell’Eucarestia, che dava un senso profondo al suo essere cristiano e prete al servizio del popolo. La mafia l’ha ucciso perché era un cristiano contro l’abominio della mafia”.

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