Perù: mons. Castillo (primate) su situazione politica in vista del ballottaggio, “non possiamo essere solo rappresentativi, dobbiamo essere partecipativi”

(Foto: arcidiocesi di Lima)

Una parola attesa, in mezzo a una campagna elettorale aspra, in vista del sorprendente ballottaggio che si terrà il prossimo 6 giugno, tra la sinistra dura e pura di Pedro Castillo, insegnante e sindacalista (in netto vantaggio secondo i sondaggi), e la leader della destra Keiko Fujimori, la figlia del dittatore, che per la terza volta consecutiva si presenta al ballottaggio. Una parola, quella della Chiesa peruviana, arrivata ieri, attraverso le parole del suo primate e arcivescovo di Lima. La messa presieduta ieri da mons. Carlos Castillo Mattasoglio in cattedrale, molto seguita perché trasmessa da una rete televisiva nazionale in tutto il Paese, era ieri incentrata sulla figura del Buon Pastore e su quella di san Toribio di Mongrovejo, che fu arcivescovo di Lima a fine ‘500, segnando in profondità l’identità del Perù (la sua festa canonica è il 27 aprile).
In questo contesto, mons. Castillo, durante l’omelia, ha preso posizione sulla situazione politica del Paese, non riferendosi direttamente alle posizioni politiche dei due contendenti, ma richiamando i cittadini ai propri diritti-doveri. “Vorrei ricordarvi – ha detto – che la Chiesa, quando ci sono situazioni di emergenza, quando ci sono situazioni difficili, deve ricordare che è necessario che tutti ci occupiamo del bene comune. Ciò significa che siamo tutti responsabili e ci aiutiamo a vicenda a costruirci come persone responsabili. Siamo tutti pastori”.
Non si tratta, ha proseguito mons. Castillo, “che alcuni dirigano tutto e noi dimentichiamo la nostra partecipazione. Papa Giovanni Paolo II ha detto che la Chiesa ‘apprezza la democrazia’, e la apprezza per due ragioni: perché ‘assicura il ricambio dei leader’, ma in secondo luogo, perché può essere ‘controllata’ dal popolo, dalla gente. Oggi il tempo che viviamo è difficile, perché tale partecipazione non è così evidente”. Richiamandosi alla Dottrina sociale, ma anche alla Costituzione peruviana, l’arcivescovo ha proseguito: “Non possiamo solo essere rappresentativi, dobbiamo essere partecipativi”. Pertanto, “vorrei chiedervi di prendere iniziative in questo tempo a venire per assicurarvi che ciò che accadrà sia, in qualche modo, guidato da noi stessi. C’è stato un tempo di tremenda indifferenza in cui ci siamo, potremmo dire, messi nelle mani di chi dirige e fa le cose, siamo venuti meno alla responsabilità che ci spetta come società. È interessante che in questi giorni tutte le organizzazioni, associazioni, gruppi, si incontrino per vedere cosa si fa in situazioni difficili”. Chiunque “venga a guidare il nostro Paese, l’importante è che possiamo indirizzare i processi dalla base della società”.
In questo, mons. Castillo ha ricordato l’eredità di san Toribio, il suo stile di essere pastore, tanto più che egli stesso si trovò a guidare la sua Chiesa in un momento di terribile pandemia, che decimò gli indigeni (da 10 milioni a 800mila). Fu in quella circostanza che l’arcivescovo seppe affrontare la situazione “con una creatività enorme” e a vivere “vicino alla gente”, e incontrò i popoli originari, percorrendo in lungo e in largo il Paese.

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