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Francia: lotta alla pedofilia nella Chiesa. In aumento le denunce delle vittime. Mons. Blanchet, “segno che la parola si è liberata”

“È il segno che la parola si è liberata”. Così mons. Dominique Blanchet, vescovo di Belfort-Montbéliard e vicepresidente della Conferenza episcopale francese, ha spiegato ieri sera, in video conferenza stampa, l’aumento negli ultimi due anni delle persone vittime di abusi che hanno avuto il coraggio di prendere contatto con i vescovi per denunciare la violenza subita. Si è cioè passati dalle 220 vittime nell’arco di tempo 2010-2016 alle 320 dal 2018 al 2020. Ieri ai vescovi riuniti in Assemblea plenaria (online) è stato presentato il 3° Rapporto della Conferenza episcopale di Francia sulla lotta contro la pedofilia nella Chiesa dove si fa il punto sul numero delle persone vittime, le segnalazioni arrivate nelle diocesi, gli autori, le misure canoniche prese e i dispositivi di prevenzione messi in atto. L’aumento del numero di vittime identificate – si legge nel Rapporto – può essere spiegato anche grazie alla istituzione da parte dei vescovi francesi di una Commissione indipendente sugli abusi sessuali nella Chiesa (Ciase), la creazione di cellule di accoglienza e di ascolto nelle diocesi, gli appelli ripetutamente lanciati alle vittime affinché abbiano il coraggio di  denunciare l’abuso subito e prendere contatto con la Chiesa di riferimento. Dal Rapporto emerge anche che dal 2018 al 2020, sono state 110 le segnalazioni che i vescovi hanno fatto arrivare alle procure. Per segnalazione si intende un episodio che viene sottoposto per via ufficiale e per iscritto all’autorità giudiziaria in merito a fatti gravi, al fine di proteggere un minore. Delle 110 segnalazioni, 67 sono per fatti anteriori al 2000 e 43 per fatti posteriori allo stesso anno. In Francia inoltre sono 15 le diocesi che hanno deciso di stipulare una convenzione con i procuratori competenti presenti sul territorio. Riguardo agli autori degli abusi, nell’arco di tempo che va dal 2018 al 2020 sono state 208 le persone per cui si è aperto un procedimento: 191 chiamati in causa da una vittima; 8 incriminati (oggetto cioè di una decisione presa da un giudice istruttore nell’ambito di un’indagine giudiziaria); 5 in carcere e 4 che hanno terminato la loro pena. Riguardo alle misure “canoniche” prese dalla Chiesa, sempre negli ultimi due anni, sono stati 57 i preti, i religiosi e i diaconi sospesi provvisoriamente (in attesa di una decisione definitiva che verrà presa alla luce degli esiti finali dell’inchiesta) e 13 condannati ad una pena canonica (sanzione prevista dal codice di diritto canonico presa nei confronti di una persona colpevole di un delitto). Il vescovo Blanchet ha spiegato ai giornalisti che, nella lotta alla pedofilia nella Chiesa, i vescovi stanno lavorando insieme alle vittime stesse e divisi in quattro gruppi di lavoro. Si stanno discutendo le iniziative da rafforzare per la prevenzione soprattutto nelle diocesi. Un gruppo sta lavorando per “garantire nel lungo tempo che la Chiesa diventi una casa sicura per tutti e non perda mai la memoria di quello che è successo perché non si ripeta più”. C’è poi un gruppo che sta trattando la questione degli autori degli abusi e si sta pensando di redigere addirittura un “Vademecum” per l’accompagnamento di queste persone. I vescovi – ha spiegato mons. Blanchet – si trovano spesso a dover gestire preti che hanno finito di scontare la loro pena e sono usciti di prigione; quelli oggetto di un procedimento giudiziario o di una denuncia. Purtroppo, ci sono anche casi di sacerdoti a cui è arrivata una denuncia e si sono suicidati; altri invece sospesi dal ministero e in attesa di un processo. Infine, c’è la questione dei risarcimenti finanziari alle vittime. Si vorrebbe un “fondo volontario”, costituito cioè da fondi liberamente donati dai fedeli facendo capire che “non si tratta cioè tanto di aiutare la Chiesa a dare una somma di soldi ad una persona vittima ma di aiutare la vittima stessa secondo il principio della solidarietà. Un gesto concreto per dire che tutta la Chiesa si vuole prendere cura di quel fratello o di quella sorella che è stata tragicamente ferita. Su questo punto abbiamo compreso che non siamo stati capiti e quindi abbiamo tutto un lavoro da fare per comunicare bene il significato di questo gesto”.

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