Rapporto Giovani: non scontato che la scuola sia vista come opportunità e risorsa. Nuove generazioni non accettano una occupazione qualunque

Non si può dare per scontato che i giovani, soprattutto quelli in contesti socioculturali più svantaggiati, vedano la scuola come opportunità e risorsa per la loro vita. Il rischio è che si inaspriscano le diseguaglianze, con meno motivazione a formarsi bene proprio tra i giovani che più avrebbero vantaggio in termini di mobilità sociale da una solida formazione. È uno dei dati messi in evidenza dal Rapporto Giovani 2025, l’indagine, pubblicata in volume da Il Mulino e realizzata da Ipsos, promossa dall’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo in collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore e il sostegno di Fondazione Cariplo. La pubblicazione è stata presentata questa mattina, al Quirinale, al presidente Mattarella.
Dall’indagine emerge come sia inefficace aumentare gli strumenti di aiuto a chi è in difficoltà, se non si parte dal senso che le persone attribuiscono alla scuola. Rafforzando e sviluppando in positivo tale senso è possibile spostare il processo di formazione dalla valutazione esterna rispetto a standard predefiniti al valore dei singoli aiutati ad emergere in coerenza con le specificità personali e le dinamiche relazionali.
Un altro ambito su cui indaga il Rapporto Giovani è quello del lavoro, che – viene spiegato in un comunicato – “mantiene una posizione centrale nel progetto di vita delle nuove generazioni, ma non inteso come una occupazione qualunque: l’aspetto soggettivo del senso e quello oggettivo della qualità del lavoro sono parte di un circuito virtuoso che porta a rafforzamento reciproco”. “In larga parte – viene evidenziato – i giovani rifiutano l’idea di lavoro solo come necessità e responsabilità, deve poter abbinare passione e realizzazione personale. Ma chiedono anche un lavoro ben remunerato e che offra stabilità, associato a strumenti che sostengano la possibilità di conquistare una autonomia abitativa e mettano nelle condizioni di formare una propria famiglia. Insomma, più che perdere rilevanza il lavoro allarga i suoi confini rispetto alle dimensioni del ben-essere che sempre più si associano al ben-lavorare”.

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