Funerali vittime incendio Rsa a Milano: mons. Delpini (arcivescovo), “non sei una solitudine desolata destinata a svanire”. Nel “tempo dell’angoscia insopportabile” Dio non abbandona

“No, non è vero. Tu non sei un niente che si perde nel nulla. No, non è vero. Tu non sei una solitudine desolata che è destinata a svanire senza che alcuno ne senta la mancanza. Anche se non hai nessuno della famiglia, anche se nessuno verrà alla tua tomba per deporre un fiore, tu non sei solo. No, non è vero. Tu non sei una storia che nessuno ascolta, anche se il tuo racconto è talvolta un po’ confuso e tra i tuoi ricordi fatichi a ripescare un nome. No, non è vero. Tu non sei solo il fascicolo di una pratica che a un certo punto finisce in archivio, una patologia da associare a un medicinale, un posto letto occupato. No, non è vero che l’unica parola che abbiamo da dire sulla tua città e sulla tua vita è che sia una storia di desolata solitudine”. Così l’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, nell’omelia delle esequie di Laura Blasek, Paola Castoldi, Mikhail Duci, Anna Garzia, Loredana Labate e Nadia Rossi, le sei vittime del rogo della notte tra il 6 e il 7 luglio nella Rsa “Casa per coniugi” di Milano, rivolgendosi idealmente ai sei anziani defunti.
“Noi siamo qui a testimoniare che anche chi non ha nessuno, se non si ostina in un isolamento risentito, sperimenta una trama di rapporti, una sollecitudine che ho visto abituale nel personale dell’Rsa – ha affermato il presule -. Anche chi – come si dice – non ha nessuno, riconosce il sorriso di chi lo accudisce ogni giorno, del compagno della camera vicina con il quale chi sa come è cresciuta una intesa, quasi una amicizia. Anche chi – come si dice – non ha nessuno, aspetta la messa della domenica e l’incontro festoso e un po’ confusionario che diventa il popolo di cui si rallegra Dio”.
Ma “quando viene il tempo dell’angoscia insopportabile”, come la notte dell’incendio, “il pensiero umano si smarrisce, la casa e la vita è devastata, le istituzioni sono impotenti”. Allora, ha detto l’arcivescovo, “smentite tutte le promesse umane, allora contraddetto ogni desiderio umano di essere felici, allora in quella notte, per Laura, Paola, Mikhail, Anna, Loredana, Nadia, allora, nel momento tragico e disperato, il Signore Gesù, con le ferite gloriose della sua passione, pronuncerà il nome di Laura, Paola, Mikhail, Anna, Loredana, Nadia e dirà: ‘Padre, io voglio che Laura, Paola, Mikhail, Anna, Loredana, Nadia siano con me, dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato’”.
Mons. Delpini ha precisato: “Questa celebrazione, nella sua austera solennità, non è una specie di patetico gesto di risarcimento per una disgrazia troppo incomprensibile. Piuttosto è l’incontro drammatico tra la pietà commossa e l’impotenza insuperabile della città e la Parola che parla con una autorità troppo più alta e indiscutibile di ogni parola umana”.
E ha concluso: “La pietà e l’impotenza quando entrano in chiesa possono farsi domanda, farsi preghiera: ‘Signore, dove sei? Signore dov’eri? Signore, che cosa vuoi?’. E la Parola dell’Uomo dei dolori, dell’Uomo delle ferite risponde: ‘Ecco dov’ero: ero là a morire con loro, ero là per essere unito a loro nella somiglianza della loro morte. Ecco dov’ero: sono Crocifisso. Ecco che cosa voglio, ecco qual è la volontà di Dio: questo io voglio. Padre, io voglio che Laura, Paola, Mikhail, Anna, Loredana, Nadia siano con me, dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato’”.

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