Suicidio assistito: Franciosi (Centro bioetica “Luigi Migone”), “preoccupa che la morte venga equiparata a un servizio del Ssn. Investire in cure palliative”

Di fronte al suicidio assistito di Elena, 69 anni, affetta da tumore polmonare avanzato, in Svizzera, “il primo sentimento è di umana solidarietà e partecipazione al grande dolore di Elena e della sua famiglia per il dramma di una malattia inguaribile con cui lottava da molti mesi”. Lo si legge in un commento, pubblicato sul sito della diocesi di Parma, di Vittorio Franciosi, medico oncologo, presidente del Centro di bioetica “Luigi Migone” di Parma.
“Il secondo sentimento è di disapprovazione del metodo, provocatorio, con cui il movimento proeutanasico conduce il dibattito sul fine-vita proponendo ai media, in maniera spettacolare, la sofferenza delle persone. Nel caso della signora Elena la provocazione consiste anche nel superare il limite del mantenimento in vita da trattamenti artificiali, posto dalla sentenza della Corte Costituzionale e dalla proposta di legge sulla morte volontaria medicalmente assistita”, osserva l’oncologo, che avanza “il dubbio che non sia stato fatto tutto il possibile perché la signora Elena potesse ricevere la migliore assistenza medica, psicologica e spirituale per alleviare le sue sofferenze fisiche ed esistenziali, nella sua casa, vicina al marito e alla figlia. Infatti, le richieste eutanasiche originano dalla disperazione, comprensibile, che deriva dalla sofferenza fisica e psichica, dalla perdita di significato di una vita divenuta insopportabile e dal senso di abbandono esistenziale. Ma tanti anni di prossimità ai pazienti oncologici mi hanno insegnato che la richiesta di essere aiutati a morire è molto raramente assoluta e irremovibile, più spesso ambivalente e fluttuante e anche il dolore più buio si può aprire alla speranza se supportato da soluzioni assistenziali alternative alla richiesta suicidaria”.
Franciosi evidenzia: “Le cure palliative identificano precocemente le problematiche di natura fisica, psichica, sociale e spirituale dei pazienti come la signora Elena e trovano i fondamenti della loro applicazione in leggi dello Stato. Purtroppo, osserviamo l’insufficiente applicazione delle cure palliative nel Sistema sanitario, dove solo il 25% dei cittadini può usufruirne, in maniera molto difforme da regione a regione, soprattutto a livello domiciliare, a causa dell’insufficiente investimento organizzativo ed economico”.
Per l’oncologo, “desta preoccupazione l’idea che la morte, sotto forma di eutanasia o suicidio assistito, venga equiparata ad un qualsiasi ‘servizio’ esigibile ed erogabile dal Sistema sanitario. Un maggiore investimento nelle cure palliative sarebbe una risposta alle richieste dei pazienti e delle famiglie di alleviare il dolore delle fasi terminali delle malattie oncologiche e degenerative; ridurrebbe il numero di persone in condizioni terminali, che affollano i Pronto Soccorso e muoiono in ospedale e offrirebbe un’alternativa alle proposte eutanasiche di quei movimenti che affermano l’assoluta disponibilità a tutte le scelte nel fine vita, comprese l’eutanasia e il suicidio assistito”.

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