Volontariato: Rimini, oltre 1.200 giovani hanno aderito al progetto “Vieni e vivi” dell’Apg23

Sono stati oltre 1.200 i giovani (da tutta Italia) che questa estate hanno aderito a “Vieni e vivi”, progetto di volontariato giovanile promosso dalla Comunità Papa Giovanni XXIII (Apg23) di Rimini. Iniziativa che ha lo scopo di offrire a ragazzi e ragazze la possibilità di fare un’esperienza di solidarietà attraverso la modalità della partecipazione diretta e attiva.
Nello specifico il progetto permette ai giovani che aderiscono non solo di visitare le diverse realtà impegnate nel sociale della Comunità Papa Giovanni XXIII, ma anche di prendere parte alle attività direttamente e in prima persona. Si tratta in prevalenza di lavori in collaborazione con le strutture della Comunità, ma a seconda dell’età dei ragazzi vengono proposti anche incontri con le Unità di strada, per poter dare un aiuto e conoscere la situazione delle persone senza fissa dimora e delle donne costrette alla prostituzione. Le attività sono studiate e adattate ai singoli gruppi, in base alle loro necessità. “Arrivano molte richieste di partecipare da tutta Italia, la maggior parte da gruppi delle scuole superiori – spiega Maria Tombini, responsabile del progetto –. Negli ultimi anni l’iniziativa ha anche superato i confini nazionali e non è raro che vengano accolti gruppi dall’estero”.
L’esperienza dura una settimana, che si apre con un incontro in cui gli organizzatori introducono i ragazzi alla realtà della Comunità e che si conclude con un incontro finale, durante il quale viene chiesto un riscontro ai giovani partecipanti, sia per mettere in luce ciò che hanno provato sia per poter migliorare l’anno successivo. “Dopo un incontro conoscitivo – continua la responsabile –, si lavora principalmente nelle cooperative sociali che collaborano con la Comunità, ad esempio nell’ambito del progetto ‘La Pietra Scartata’, che offre ai ragazzi laboratori di cucina e di artigianato. Talvolta visitano e danno una mano alla ‘Capanna di Betlemme’, il nostro centro di accoglienza per senzatetto o, ancora, lavorano al ‘Cec’, la comunità per la rieducazione dei detenuti”.

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