Lesbo: Debanne (Msf), “applichiamo protocolli di sicurezza per Paesi in guerra”. Primo caso coronavirus è paziente greco

Per Medici senza frontiere è “una follia” ciò che sta accadendo a Lesbo e nelle altre due isole egee di Samos e Chios. Oltre alla nota situazione di più di 20mila persone accampate sulla collina intorno al campo di Moria a Lesbo (pensato per 3mila persone) in tende precarie in condizioni spaventose – il 40% sono bambini – negli ultimi giorni si sono aggiunti gli attacchi agli operatori e ai volontari da parte di estremisti di destra. Nell’isola è stato inoltre accertato il primo caso di coronavirus su una persona di nazionalità greca, di ritorno da Israele, già ricoverata nell’ospedale locale. Se il virus dovesse diffondersi tra i profughi sarebbe una tragedia nella tragedia. Msf, presente a Lesbo con una clinica pediatrica, è stata costretta a chiudere per un paio di giorni la struttura a seguito del clima di tensione. L’ultimo episodio risale a domenica notte: sono stati messi a fuoco i locali di una associazione che si occupa di scolarizzazione di bambini. “Ora abbiamo riaperto con attività ridotte e meno personale. Dalla settimana scorsa stiamo applicando i protocolli di sicurezza che usiamo nei Paesi in guerra”, racconta al Sir Maurizio Debanne, uno dei portavoce di Msf. “Il livello di tensione è abbastanza alto nell’isola – spiega – la situazione è tutt’altro che serena. Siamo preoccupati e speriamo che il governo greco e le autorità locali possano garantire al più presto la sicurezza per tutti, a cominciare da chi è lì per offrire assistenza alle persone”. Tra le cautele messe in campo ci sono la riduzione dello staff e delle attività. “Siamo pronti ad immaginare possibili evacuazioni del personale o ad interrompere le attività per alcuni giorni – precisa -. Sono procedure di sicurezza che consentono a chi lavora con noi di sentirsi al sicuro. Questo purtroppo va a danno dei pazienti”. Msf è anche preoccupata per il potenziale sviluppo del coronavirus a Lesbo. “Siamo in contatto con le autorità pubbliche nazionali per vedere cosa possiamo fare – dice – a cominciare dalla gestione dei casi o anche soltanto per attività di prevenzione tra i rifugiati. Ad esempio spiegare l’importanza delle norme igieniche come lavarsi le mani, per quanto possibile, tenendo conto che il contesto è drammatico. La situazione è ad un punto davvero critico”. L’organizzazione ha chiesto al governo greco l’evacuazione urgente di 200 bambini con malattie croniche e potenzialmente mortali come le patologie cardiologiche ma non c’è stata nessuna risposta.

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