“La recente chiusura da parte della Polizia postale di due siti sessisti attivi da numerosi anni sul web, con decine di migliaia di uomini follower che scambiavano immagini e commenti su donne, loro partner o estranee, inconsapevoli di quanto accadeva, rende evidente la necessità per la psicologia di agire per accelerare il cambiamento culturale e intervenire sul tema della violenza digitale”. È quanto sottolinea l’Ordine degli Psicologi della Lombardia.
Il Gruppo di lavoro “Violenza contro le donne” dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia include nella violenza digitale tutti i comportamenti vessatori, persecutori o umilianti agiti tramite strumenti tecnologici: dal cyberstalking, controllo ossessivo e ripetuto attraverso messaggi, pedinamento virtuale, uso di geolocalizzazione, al revenge porn e alla diffusione non consensuale di immagini intime; dalle molestie online alla diffusione pubblica di dati personali a scopo di intimidazione (fenomeno del “doxxing”) e, infine, all’accesso abusivo a profili, mail o dispositivi elettronici.
“Già nel Piano Colao, pubblicato dalla Presidenza del Consiglio nel giugno 2020, era emersa l’urgenza di un Piano nazionale di educazione alle relazioni e contrasto alla stereotipia di genere e di un intervento sistemico che coinvolgesse obbligatoriamente studenti e studentesse dalla scuola primaria all’università, a cui era necessario affiancare la formazione degli adulti, da svolgere nei luoghi di lavoro. A distanza di 5 anni, nel corso dei quali è mancato da parte delle istituzioni un intervento sistemico, i risultati relativi alla percezione delle pari opportunità, raccolti sia dalle ricerche del Comitato Pari Opportunità Cnop sia da quelle dell’Osservatorio Pari Opportunità nelle professioni ordinistiche di Fondazione Ossicini, mostrano il perdurare di visioni stereotipate e discriminazioni tra i generi, a costante svantaggio delle donne”, dichiara Elisabetta Camussi, coordinatrice dell’Osservatorio Pari Opportunità e Generi presso l’Ordine degli Psicologi della Lombardia.
“Proprio in questo contesto vanno collocate le dinamiche soggiacenti ad esperienze nella piazza virtuale quali ‘Mia moglie’ e ‘Phica.eu’, spesso banalizzate dai fruitori come goliardia o presunta espressione di libertà, senza però il consenso da parte delle donne coinvolte. Si tratta di elementi che indubbiamente confermano il perdurare dell’asimmetria tra il genere maschile e quello femminile misurato ogni anno dal Global Gender Gap Report del World Economic Forum, che colloca l’Italia solo all’85° posto su 148 Paesi nel confronto tra le variabili di istruzione, salute, partecipazione al mercato del lavoro, partecipazione sociale e politica e ruoli decisionali di uomini e donne. Accanto al perdurare di atteggiamenti e comportamenti discriminatori diffusi, occorre poi favorire la presa in carico delle tantissime donne che hanno subito violenza di genere sia all’interno di relazioni che credevano basate sulla fiducia e l’affetto sia per il semplice fatto di essere parte dello spazio pubblico, con l’obiettivo di cercare di ridurre le conseguenze emotive e cognitive di questo tipo di violenza, individuale e sociale”, ha aggiunto Camussi.
Le conseguenze della violenza digitale non sono meno gravi di quelle “offline”. “Pubblicare e condividere foto senza consenso non è uno scherzo né una leggerezza, ma una forma di violenza. Le immagini diffuse in rete sfuggono al controllo e possono diventare strumenti di umiliazione, denigrazione e ricatto. La rete amplifica il danno e ciò che nasce in uno spazio virtuale ha conseguenze concrete e profonde sulla vita delle persone. È importante chiarire che non conta se le foto fossero state originariamente pubblicate dalle donne sui propri profili social, ciò che trasforma quelle immagini in strumenti di violenza è l’uso che ne viene fatto: inserirle in un gruppo, esporle a commenti degradanti è abuso e non può essere minimizzato o giustificato. Questa forma di violenza intacca la capacità di fidarsi dell’altro, minando la possibilità di costruire relazioni intime sane e sicure”, ha commentato Silvana Redaelli, consigliera Opl e coordinatrice Gruppo di Lavoro Violenza contro le Donne.