Divario civile: mons. Savino (Cassano all’Jonio), “assumere come prospettiva privilegiata quella delle aree interne, allo scopo di favorirne l’emancipazione”

(Foto: sito diocesi di Cassano all'Jonio)

“Uno dei temi che più caratterizza la questione sociale in Italia è quello del divario civile. Questa espressione viene utilizzata per segnalare il fatto che il contenuto effettivo dei diritti sociali di cittadinanza cambia a seconda dei luoghi, e tutto questo alimenta le disuguaglianze territoriali”. E “in Italia le differenze territoriali non si esprimono solo sul piano economico, e permette di andare alla radice dei processi che alimentano le disuguaglianze, particolarmente evidenti lungo l’asse Nord-Sud, ma che si vanno sempre più diffondendo su tutto il territorio”. La denuncia è in una riflessione – “La questione del divario civile e delle aree interne. Le implicazioni per la comunità cristiana” – di mons. Francesco Savino, vescovo di Cassano all’Jonio e vice presidente della Cei. “In uno Stato unitario ai cittadini vanno assicurate uguali opportunità di accesso ai beni di cittadinanza, a prescindere dal luogo di residenza e dal grado di sviluppo produttivo locale. Tuttavia, in Italia il divario civile è più accentuato di quello economico, ed è anche più preoccupante, poiché indebolisce il senso di appartenenza ad un’unica comunità nazionale”, avverte il presule, per il quale “il divario è particolarmente evidente non solo rispetto alla sanità, ma anche all’istruzione, ai servizi sociali e alla questione ambientale, ovvero rispetto agli ambiti da cui dipende la qualità e l’estensione dello sviluppo umano autentico”.
Di fronte a questa realtà, il vescovo invita ad è “assumere come prospettiva privilegiata quella delle aree interne, allo scopo di favorirne l’emancipazione, anche attraverso la mobilitazione degli attori appartenenti a tali contesti”. “Il movimento emancipatorio non esclude l’azione delle istituzioni pubbliche e le politiche di welfare, ma le accompagna attraverso l’esercizio della solidarietà dal basso – chiarisce mons. Savino -. Sono esempi di emancipazione le forme di autorganizzazione di cittadini; le esperienze di mutualismo, di accoglienza e di cittadinanza attiva; i processi di welfare comunitario”. Percorsi emancipatori “sono possibili nei contesti in cui riescono ad attivarsi reticoli comunitari, ambienti capaci di promuovere la tessitura intenzionale e continua di relazioni dotate di senso e, al tempo stesso, l’assunzione di responsabilità nei confronti dei più fragili. Si tratta di cammini che possono diventare importantissimi per un riorientamento delle politiche pubbliche, chiamate a riconoscere le diversità dei luoghi, e a garantire dappertutto i livelli essenziali di cittadinanza, a partire dai contesti più periferici, in modo che ognuno possa vivere effettivamente una vita degna di essere vissuta”.

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