Ambiente: Corbini (Carabinieri forestali Belluno), “dopo Vaia sta maturando una nuova e più robusta coscienza sulle foreste”

(Foto: Greenaccord)

“Nel territorio delle Dolomiti bellunesi, soprattutto dopo la catastrofe della tempesta Vaia, sta maturando una nuova e più robusta coscienza sulle foreste”, in modo tale che “possano essere attraversate da processi strategici di gestione sostenibile e manutenzione virtuosa scanditi dai criteri della prevenzione e programmazione. La superficie boschiva in Italia e in Veneto negli ultimi anni è aumentata per l’inedita desertificazione sociale dei paesaggi montani, determinando, conseguentemente, un maggiore rischio geo-idrologico, pur a fronte dei numerosi servizi ecosistemici, ossia i benefici multipli che le foreste sono in grado di assicurare all’uomo”. Lo ha sottolineato il comandante del gruppo Carabinieri forestale di Belluno, Riccardo Corbini, intervenendo oggi alla seconda giornata del forum promosso da Greenaccord a Santa Giustina (Bl).
“Dall’ultimo inventario forestale nazionale – ha precisato Corbini – risultano in Veneto 460mila ettari di superficie forestale, in espansione per il progressivo abbandono delle attività tradizionali come il pascolo. Di questi, circa 20mila sono stati interessati da schianti dovuti alla tempesta Vaia, con abbattimento di 3 milioni di mc di piante, 900mila dei quali sono ancora a terra”. Le piante che non sono state rimosse sopperiscono alla perdita del bosco con la sua funzione protettiva dalle valanghe, attenuate dal legname lasciato a terra. A causa di Vaia, ci sono oggi 80 nuovi potenziali siti valanghivi solo in provincia di Belluno, costantemente monitorati per cercare di prevenire eventuali eventi avversi. Secondo il comandante, “Vaia, evento estremo con picchi di vento di 200 km orari, ci ha sbattuto in faccia il problema del ripopolamento forestale che deve andare verso forme più vicine a quelle naturali”.
I territori delle Alpi e degli Appennini, custodi di una biodiversità dal valore inestimabile, da alcuni decenni sono nuovamente frequentati dai lupi, tornati a colonizzare i paesaggi – secondo il delegato del Parco nazionale delle Dolomiti Bellunesi, Enrico Vettorazzo – non per “reintroduzione”, ma per “dispersione”, ossia dalla nascita e diffusione di branchi. Come emerge dal recente monitoraggio sulla presenza dei lupi realizzato tra il 2020 e il 2021 dall’Ispra, in sinergia con altri istituti di ricerca e istituzioni locali, i lupi, oggi circa 3.000, sono studiati, infatti, mediante il progetto europeo “Life Wolfalps” con l’obiettivo ambizioso di rilevarne l’andamento demografico, gli spostamenti tramite i radiocollari satellitari di ultima generazione, e la loro adattabilità a luoghi sempre più caldi a causa dei cambiamenti climatici, in nome di una desiderata e necessaria convivenza pacifica con l’uomo.

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