Strage via D’Amelio: Fico, “tra le ferite più dolorose della nostra storia”. “Dimostrare che la forza morale di chi ha combattuto la mafia si è ramificata nella società”

“La strage di via D’Amelio è una delle ferite più dolorose della storia repubblicana. A meno di due mesi dalla bomba che sventrò l’autostrada a Capaci un altro ordigno uccise il magistrato Paolo Borsellino. E con lui i componenti della sua scorta: Agostino Catalano, Eddie Walter Cosina, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli e Claudio Traina, anch’essi fedeli servitori dello Stato”. Lo ha scritto il presidente della Camera dei deputati, Roberto Fico, in un post pubblicato su Facebook in occasione del 29° anniversario della stage di via D’Amelio, a Palermo.
“Ricordare chi ha sacrificato la propria vita per amore della propria comunità, della legalità, dello Stato significa anche ricordare la poderosa reazione che l’Italia ebbe”, prosegue la terza carica dello Stato, sottolineando che “la nostra democrazia non si è mai ripiegata su se stessa, ma ha saputo difendersi e reagire: perfezionando una normativa per contrastare il fenomeno mafioso; agendo sul piano della giustizia sociale; creando le condizioni per un vasto movimento associativo che ha contribuito a diffondere una rinnovata mentalità di impegno civile, legalità e trasparenza”.
Ricordando che “il Parlamento sta portando avanti un prezioso lavoro con la decisione della Commissione antimafia di desecretare documenti acquisiti nel corso di inchieste svolte dal 1963 al 2001, partendo proprio dalle audizioni del giudice Borsellino”, Fico ammonisce: “La criminalità organizzata però non è ancora sconfitta. La mafia assume costantemente volti e forme diverse e l’impegno per combatterla richiede il contributo delle migliori energie del Paese”. “Ciascuno – aggiunge – deve poter concorrere a plasmare una coscienza civile che, nelle grandi come nelle piccole scelte del quotidiano, rinneghi il fenomeno mafioso nella sua interezza e, ciò che più conta, dimostri come la forza morale di chi ha combattuto la mafia, anche a costo della propria vita, non è andata perduta ma si è ramificata nella società, rendendola più forte, più critica e consapevole”.
“Quando commemoriamo uomini come Paolo Borsellino, il dovere della memoria non deve infatti essere fine a sé stesso, ma deve sempre richiamare il valore di una salda responsabilità civile, ispirata ai principi della Carta costituzionale, che faccia di noi una comunità sempre più unita nella solidarietà, nella giustizia e nel progetto, irrinunciabile, di un Paese finalmente libero dalle mafie”, conclude il presidente della Camera.

© Riproduzione Riservata

Quotidiano

Quotidiano - Italiano

Italia