Antisemitismo: mons. Gallagher (Santa Sede), “già nel 1919 nella Chiesa cattolica c’era ferma convinzione che il principio di fraternità non poteva essere calpestato”

“In questi anni sono stati compiuti molti progressi: la conoscenza reciproca ha portato a una migliore comprensione, non solo sul piano teologico, ma anche sociale e politico” come testimonia l’Accordo bilaterale con il quale si sono stabilite relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Stato di Israele. Lo ha ribadito mons. Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati della Santa Sede in un video per la campagna mediatica #StopAntiSemitism promossa dall’ambasciata di Israele presso la Santa Sede nell’ambito del 55° anniversario della Dichiarazione Nostra Aetate. La raccolta di messaggi e videomessaggi ha preso il via la scorsa Giornata della memoria e proseguirà fino a domani 8 aprile, giorno in cui si commemora la Giornata dell’Olocausto. Nel video l’arcivescovo, citando la Dichiarazione conciliare, ricorda che “la relazione unica tra il popolo di Israele e la Chiesa cattolica è un processo storico di riconciliazione e di comprensione reciproca frutto proprio di quel dialogo di cui Nostra Aetate parla. Il dialogo di cui abbiamo sempre bisogno – ha aggiunto – deve essere aperto e rispettoso così diventa fruttuoso. Il rispetto del diritto altrui alla vita e all’integrità fisica, alle libertà fondamentali, cioè libertà di coscienza, di pensiero, di espressione e di religione, ci permette di costruire insieme un clima di pace di fraternità come più volte richiamato da Papa Francesco nella sua enciclica Fratelli tutti”. Altro aspetto importante contenuto nella Nostra Aetate “è la condanna dell’antisemitismo in ogni forma e specie”, ha sottolineato mons. Gallagher, per il quale “la riscoperta delle radici ebraiche del Cristianesimo e la condanna dell’antisemitismo non sono apparse nel pensiero della Chiesa improvvisamente ma sono il frutto di atteggiamenti maturati nel corso degli anni precedenti”. A riprova, il segretario per i Rapporti con gli Stati della Santa Sede ha citato “una piccola perla” rinvenuta nell’archivio storico della sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato: “Una corrispondenza del 1919 tra il Consiglio dei Rabbini Askenaziti di Gerusalemme e la Santa Sede” nella quale il consiglio rabbinico askenazita si rivolgeva a Benedetto XV per chiedere “di usare tutta la sua influenza e forza spirituale per porre fine a atti di intolleranza e misure antisemitiche” rivolte già da qualche anno contro le comunità ebraiche in Europa Orientale. Nella risposta, firmata dall’allora segretario di Stato, card. Pietro Gasparri, si leggeva che “la Chiesa, animata dai principi della carità evangelica verso tutti, soprattutto verso i figli del popolo di Israele, era contraria a atti di odio contro gli altri fratelli. La Chiesa considera tutti gli uomini come fratelli e insegna loro ad amarsi l’un l’altro. La differente religione non può permettere a nessuno di fare violenza contro l’altro. E se questo è un principio vero verso tutti lo è altrettanto verso gli ebrei. Infatti questa violenza è contro il diritto alla giustizia”. Secondo mons. Gallagher, “già nel 1919, tra queste nostre mura, circolava la ferma convinzione che il principio di fraternità non poteva essere calpestato dalla furia antisemita e si auspicava che il diritto alla religione fosse rispettato”. Si tratta, “certo, di un piccolo esempio, di una goccia d’acqua in un mare, ma – ha aggiunto l’arcivescovo – fa capire che anche tra coloro che si occupavano dei rapporti con gli Stati e dell’azione diplomatica della Santa Sede vi fosse la convinzione di non poter tollerare alcuna forma di antisemitismo e di adoperarsi per contrastarlo”. Come fece il nunzio apostolico in Ungheria, mons. Angelo Rota, coadiuvato da mons. Gennaro Verolino.

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