Mozambico: Ciclone Eloise. Don Bolzon (missionario a Beira), “tanta devastazione, danni anche alla casa del vescovo”

foto: M. Bolzon

Anche la casa dell’arcivescovo di Beira, mons. Claudio La Zuanna, è stata danneggiata dalla furia del ciclone Eloise, passato in Mozambico centrale il 23 gennaio. Migliaia di case distrutte e famiglie sfollate, 6 morti e una dozzina di feriti. Secondo l’Unicef 176.000 persone potrebbero aver bisogno di aiuti umanitari. A parlare al Sir da Beira è don Maurizio Bolzon, fidei donum della diocesi di Vicenza. “Più della metà della casa del vescovo è volata via, sono crollati i controsoffitti, tutti i mobili sono bagnati – racconta -. Anche altre strutture parrocchiali sono state danneggiate. Girare per i quartieri più poveri e vedere tante case distrutte, con la povera gente che cerca riparo, fa male al cuore. C’è tanta sofferenza”. Il Mozambico è un Paese spesso sconvolto dai cicloni, l’ultimo violentissimo (forza 5) è stato il ciclone Idai nel 2019, che uccise almeno 900 persone. Stavolta il ciclone Eloise era forza 3, comunque si è fatto sentire con prepotenza. “Per la seconda volta la città di Beira sta affrontando una prova molto grande – dice don Bolzon -. Il ciclone è durato tantissimo, con raffiche di vento dalle 11 di sera fino alle 5 e alle 6 del mattino e tantissima pioggia”. I missionari e gran parte della popolazione si erano preparati mettendo dei sacchi di sabbia sopra il tetto: “Per noi sono stati provvidenziali. In alcuni casi hanno salvato la situazione. In altri casi, o perché non avevano i sacchi o perché non hanno fatto in tempo, ci sono state distruzioni molto più gravi”. All’indomani del vento folle don Maurizio è uscito di casa ed ha trascorso la giornata a visitare le zone più povere – lui e i due confratelli veneti vivono proprio lì, in un ‘bairro’ – ed è stato molto duro. “Vi assicuro che chi ha un cuore in questo momento se lo ritrova a pezzi. Vedere così tante case senza tetto o le abitazioni più fragili, di argilla, completamente sciolte, con le suppellettili bagnate in mezzo al fango. Fa male vedere i quartieri abbandonati in quelle condizioni”. Le persone raccoglievano i pochi vestiti e beni che possedevano, li caricavano sulla testa e passavano attraverso i campi allagati con l’acqua al ginocchio o alla cintola, per cercare di andare a casa di parenti e amici. Il giorno dopo il missionario ha celebrato messa in una chiesa senza le lamiere del tetto.

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