Quaresima: don Giorgio (Mac), “per risanare le relazioni servono l’umiltà, la pazienza, il sopportarsi a vicenda e la pace”

“Il male più terribile è rimanere soli, sentirsi soli, alienare le relazioni, magari per orgoglio o per tante altre motivazioni. La solitudine può essere determinata dagli altri, come nel caso della malattia, quando senti che tutti ti abbandonano, ma può essere anche indotta da noi stessi quando, senza accorgercene, a causa delle nostre colpe o di quelle colpe in qualche modo ereditate creiamo deserto attorno a noi. Non che il deserto non sia importante, specialmente in tempo di Quaresima, ma dovrebbe costituire una scelta personale, non un obbligo a causa di cattive relazioni”. Lo scrive don Alfonso Giorgio, assistente ecclesiastico nazionale del Movimento apostolico ciechi (Mac), nella lettera per la Quaresima intitolata “Dio non si è stancato di noi. Risanare le relazioni” e rivolta a tutti i gruppi diocesani, presidenti e assistenti.
Per risanare la comunione, suggerisce il sacerdote, “sicuramente al primo posto vi deve essere l’umiltà”: “Molto spesso tantissime divisioni nelle relazioni sono causate dalla superbia, dall’orgoglio di chi non vuole riconoscere i propri errori o dalla convinzione di sapere per certo quel che si annida nel cuore di chi ci sta di fronte giudicandolo e liquidandolo con parole di giudizio e di condanna”. Ma, avverte, “non possiamo mai sapere cosa c’è nella mente e nel cuore dell’altro e non sempre l’idea che ci siamo fatti corrisponde alla realtà, perché magari in quel momento ci è apparso in un modo, ma in realtà non avrebbe voluto aggredirci o giudicarci negativamente. Proprio per questo è necessario un atteggiamento di umiltà, così da non avere la superbia di giudicare, condannare e quindi dividere”.
Ci vuole anche pazienza: “Una relazione non può durare se non abbiamo la pazienza di accettare gli errori degli altri anche quando dovessero ripetersi di continuo. La pazienza è una virtù che si può acquisire con la preghiera e andrebbe esercitata di continuo in ogni contesto umano. Non si può non aver pazienza con una persona che nella vita si ritrova a combattere con i suoi limiti anche fisici. Se ci allontanassimo da un fratello o da una sorella che soffre, faremmo un danno ancora più grave. La solitudine nell’esperienza della fragilità può portare allo scoraggiamento e talvolta alla disperazione. Anziché consolare ci ritroveremo a mortificare, escludere, allontanare da noi chi, nella sua condizione, ha bisogno del nostro aiuto”.
Ancora, bisogna sopportarsi a vicenda: “Ci sono momenti terribili in cui si arriva quasi ad un punto di non ritorno per quanto si è saturi. La saturazione è tale che la relazione può essere facilmente compromessa. Che fare in quei momenti? L’unico modo per evitare il peggio è continuare a sopportare l’altro. Sembra ingiusto umanamente, ma il cristiano è chiamato, anche quando è ferito, ad accettare i comportamenti degli altri, a meno che non viene compromessa la comunione con tutto il contesto comunitario. In quel caso si dovrebbe continuare a praticare la correzione fraterna o mettere l’altro nella condizione di riflettere sui propri errori”.
Infine, conservare la pace: “Se la pace è un dono dall’Alto vuol dire che è prezioso e va custodito. Più riusciamo a custodire la pace – con la preghiera e con la pratica delle precedenti virtù -, più riusciamo a conservare la comunione tra noi. Quando mi mostro ingessato, irascibile, nervoso, adirato non favorisco l’incontro, non faccio altro che allontanare gli altri e molto spesso ferirli”.

© Riproduzione Riservata

Quotidiano

Quotidiano - Italiano

Mondo