Diocesi: Taranto, rinnovata la tradizione della festa di Santa Cecilia che apre le porte al Natale ma attraverso la rete

Dicono che Taranto sia la città con le festività natalizie più lunghe al mondo. Di certo il periodo natalizio nel capoluogo ionico inizia alle 3 del 22 novembre, festa di santa Cecilia, la patrona dei musicisti che annuncia il Natale alle porte. Le bande, benedette davanti alla cattedrale di san Cataldo, suonano le pastorali, musiche che si rifanno a quelle della tradizione degli zampognari. I musici girano poi per la città mentre nelle case si friggono le pettole, piccole palline di farina e acqua, che vengono immerse nello zucchero e mangiate rigorosamente prima di iniziare la giornata di lavoro o di scuola. Quest’anno l’emergenza Covid-19 (la Puglia è zona arancione, ndr) non permetterà il consueto svolgimento ma la diocesi ionica non si è data per vinta. “Abbiamo voluto rispettare la tradizione, nei modi che questa terribile pandemia ci detta – spiega il parroco della cattedrale, don Emanuele Ferro – e portare nelle case dei tarantini che vivono qui e che sono nel mondo ‘la prima squilla’. In segno di vicinanza e di comunione con tutti i tarantini, specialmente coloro che risiedono fuori Taranto e all’alba di domenica 22, l’abbiamo diffusa per non rinunciare all’atmosfera di speranza”. Prima c’è stato il saluto dell’arcivescovo di Taranto Filippo Santoro seguito da quello del sindaco di Taranto Rinaldo Melucci, poi la preghiera della benedizione dei musicanti e il momento delle pastorali, eseguite dalla grande orchestra di fiati santa Cecilia diretta dal maestro Giuseppe Gregucci. “Come tradizione vuole, ci siamo levati ugualmente presto il giorno di santa Cecilia. Ci siamo connessi alla rete, sulla pagina Facebok della ‘basilica cattedrale di San Cataldo’, alle 5 del mattino, per ascoltare nelle nostre case le pastorali, vedere la nostra cattedrale dove ci siamo radunati negli ultimi anni, in centinaia, per la benedizione delle bande e la piccola processione di Santa Cecilia. In differita, per ovvie ragioni di sicurezza – ha concluso don Emanuele Ferro – abbiamo potuto semplicemente condividere un segno di speranza, di attesa di tempi nuovi e perché no, di resistenza fiduciosa”.

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