“Gesù si è fatto carico anche del nostro sconforto estremo, quello nel quale ci sentiamo fondamentalmente soli, abbandonati, emarginati, quello nel quale sembra che nemmeno Dio ci possa salvare”. Lo ha ricordato ieri l’arcivescovo di Firenze, mons. Gherardo Gambelli, presiedendo nella cattedrale di Santa Maria del Fiore la messa della Domenica delle Palme.
Nell’omelia, il presule ha sottolineato che “proprio nel momento in cui il male dell’uomo sembrerebbe trionfare nella sua violenza; proprio nel momento in cui la missione di Gesù sembra ormai esposta al solo scherno degli uomini e il peccato sembra avere l’ultima parola sulla storia e sugli umani destini; proprio allora, il Figlio ci mostra la vera portata – indistruttibile – del rapporto col Padre suo: ‘Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno’”. “Gesù dalla croce non maledice, non recrimina nulla e perdona tutto”, ha proseguito mons. Gambelli, sottolineando che “dalla croce si mostra così il vero volto di Dio, volto di misericordia dalla tenerezza infinita, che nulla misura e tutto abbraccia in un perdono che costituisce l’unica vera alternativa al male e al peccato di cui noi uomini ci scopriamo sempre nuovamente capaci”. “Contemplando la croce – ha commentato – noi vediamo così che c’è realmente qualcosa di più del nostro solo male, e c’è qualcosa di più tenace della stessa morte: la possibilità di sperimentare quell’affidamento a Dio che solo permette di perdonare e di amare, di partecipare cioè della vita di Cristo. Una vita che come celebreremo nella Santa Pasqua nemmeno la morte può trattenere”. “Cari fratelli e sorelle, del bisogno che anche noi – oggi – abbiamo di questo perdono infinito ne è testimonianza drammatica il nostro presente di guerre, di ingiustizia sociale ed economica, di povertà materiale e spirituale, così come ne sono testimonianza le nostre personali ferite e i nostri propri mali”, ha osservato l’arcivescovo, convinto che “se smarriamo la consapevolezza di aver bisogno di questa tenerezza ‘smisurata’ di Dio, a noi uomini non rimarrebbe altro che l’abisso del nostro male”. “Di questo bisogno di perdono che siamo è per noi immagine emblematica il ladrone ‘buono’: egli – ha spiegato – si lascia colpire da Gesù, dal suo soffrire e dal suo perdonare, ricordandoci che non è un ragionamento astratto su Dio, o l’adesione a una dottrina ciò che ha la forza di salvare la vita quanto, piuttosto, riconoscere il proprio bisogno estremo e incrociare lo sguardo con questo amore vivo di Dio fatto carne: lasciarsi guardare e perdonare da Gesù”. “Chiediamo di poter esser semplici come il ladrone, così da poter intercettare anche noi, in mezzo alle sofferenze della storia e ai tanti ‘crocefissi’ dalle ingiustizie, coloro in cui brilla l’unica vera forza capace di cambiare la storia e porre un limite al male: la forza del perdono e della tenerezza di Cristo”, ha concluso mons. Gambelli.