Codice di Camaldoli: Margotti (Università di Torino), “un metodo valido ancora oggi”

(Foto: Meic)

“Il metodo che più o meno consapevolmente gli intellettuali cattolici elaborarono per formulare il codice di Camaldoli, questo metodo del confronto, della competenza, della consapevolezza della complessità del cambiamento, sono linee guida che rimangono valide ancora adesso”: lo ha detto Marta Margotti, storica, dell’Università di Torino e socia Meic, che ha moderato il convegno “Dal Codice alla Carta: i cattolici italiani tra Resistenza, realtà internazionale e impegno costituente (1943-1948)” tenutosi ieri mattina (giovedì) all’interno della Settimana teologica del Meic che si conclude oggi a Camaldoli, con la sessione dedicata al “Prendersi cura degli altri in questa società”, confronto tra Christian Ferrari, Segreteria nazionale Cgil e William Guerra, Imprenditore-Housing sociale e per anziani; coordina: Mino Vittone, e le conclusioni del presidente nazionale del Meic Luigi D’Andrea.
Il tema scelto dal Meic per la sua Settimana teologica: “Prendersi cura degli altri” ha avuto un momento di particolare approfondimento sulla dimensione politica con il convegno che è stato pensato come prosecuzione del convegno di luglio sul “Codice di Camaldoli”.
Per approfondire il contributo dato dai cattolici alla scrittura della Carta Costituzionale, attingendo all’esperienza e ai contenuti del Codice di Camaldoli, ieri mattina a Camaldoli sono intervenuti Leonardo Bianchi (Università di Firenze), Alessandro Santagata (Università di Padova), Paolo Acanfora e Stefano Ceccanti (Università La Sapienza).
Il convegno che si è svolto a Camaldoli, ieri giovedì 24 agosto, nell’ambito della Settimana teologica del Meic, è stato promosso dalla Fondazione Camaldoli Cultura onlus, in collaborazione con l’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’Età contemporanea e con l’Istituto per la storia dell’Azione cattolica e del movimento cattolico in Italia Paolo VI.
Il contributo portato dai relatori, ha sottolineato Marta Margotti, storica, dell’Università di Torino e socia del Meic, “ha messo in rilievo quanto, in un momento tragico della storia dell’Italia e del mondo, un gruppo di intellettuali cattolici ha avuto la consapevolezza che i tempi erano maturi ed era quasi un obbligo di coscienza intervenire per costruire l’Italia del futuro, l’Italia postfascista. Quindi nell’estate 1943, quando una trentina di intellettuali cattolici si ritrovano a Camaldoli, la volontà è quella di proporre una riflessione adatta ai tempi che stavano cambiando”.
“Il metodo che più o meno consapevolmente gli intellettuali cattolici elaborarono per formulare il codice di Camaldoli, questo metodo del confronto, della competenza, della consapevolezza della complessità del cambiamento” sono gli elementi che possono essere riassunti come “metodo Camaldoli” che “in qualche misura si ritrovò, con altre dimensioni e con un’altra rilevanza, all’interno della fase Costituente”. E sono “ linee guida che rimangono valide ancora adesso”, ha sostenuto Margotti.
L’esperienza degli intellettuali cattolici che diedero vita al Codice di Camaldoli costituisce una indicazione su un modo di porsi del laicato all’interno del mondo ecclesiale. La seconda guerra mondiale e poi la tragica esperienza della guerra civile della Resistenza, misero in evidenza “degli elementi che già erano emersi all’interno delle discussioni di Camaldoli del luglio del 1943. Vale a dire che nelle scelte di tipo politico economico sociale, vi era un’autonomia del credente che doveva agire sotto la propria responsabilità, anche dissentendo da quelle che erano le direttive delle gerarchie ecclesiastiche”.

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