Giornata del malato: mons. Marcianò (Omi) agli operatori sanitari, “fermarsi, avvicinarsi, curare, sollevare”

Malattia e sofferenza rimangono “un grido che ci interpella e interpella particolarmente voi, operatori sanitari. E tanto più ci e vi interpella quanto più non perdiamo di vista che, dietro ogni malattia e sofferenza umana c’è la persona, con il vissuto della sua individualità e fragilità, con la sua speranza e le sue paure, che spesso si sintetizzano nell’unica grande paura della morte”. Lo ha detto l’arcivescovo ordinario militare per l’Italia, mons. Santo Marcianò, celebrando oggi all’ospedale militare del Celio, a Roma, la Giornata mondiale del malato. Riprendendo il messaggio di Papa Francesco per la Giornata, con l’esortazione “ad affrontare la malattia in modo sinodale”, l’arcivescovo castrense ricorda che “il tempo della malattia e della sofferenza rivela se la comunità umana è fondata o meno sulla fraternità, sulla centralità della persona, specie se fragile”. Da qui la consegna agli operatori sanitari di quattro parole, tratte dal brano del Vangelo della Liturgia odierna: “Fermarsi, avvicinarsi, curare, sollevare”. Fermarsi, come Gesù con il sordomuto, perché è il malato “la vera meta del cammino umano, in particolare del cammino di chi deve servire i malati”. Avvicinarsi: serve a creare “una relazione con il paziente” sottraendolo “all’anonimato della folla che spesso invade i nostri ospedali, gli ambulatori, i vari presidi sanitari”, rendendolo “libero di manifestare con fiducia il proprio vissuto integrale, la propria storia”. Curare: Gesù “cura toccando, senza aver paura delle contaminazioni, fortemente bandite dalla cultura del tempo; cura accarezzando, potremmo dire. Come non vedere qui i vostri gesti di coraggio e tenerezza, spesso incuranti dei rischi durante il Covid? domanda mons. Marcianò che ricorda la “prontezza della Sanità Militare nel soccorrere i fratelli in tragedie, guerre e calamità naturali”. “Penso al sollievo – ha aggiunto – che assicurate nelle fasi terminali di malattia, anche con l’ausilio delle cosiddette ‘cure palliative’, arginando così una cultura che ha paura di contaminarsi con la realtà della sofferenza e della morte e che sempre più va verso la deriva eutanasica, sconfitta inammissibile per la scienza e la vocazione medica”. Sollevare: “Gesù non solo cura il sordomuto ma lo solleva, restituendogli la capacità di ascoltare e di parlare. Libera l’infermo dall’emarginazione in cui la sua condizione di incomunicabilità con gli altri lo aveva posto, restituendogli piena dignità. Il riconoscimento di tale dignità è un’azione che ripristina il ruolo sociale del malato, in qualunque condizione o fase della malattia egli si trovi. Questa sinodalità nei confronti del malato può diventare modello anche per la comunità civile, spingendo a decisioni politiche, sociali, economiche che tengano sempre al centro i più fragili, e che permettano di fermarsi e avvicinarli, per curarli e sollevarli”.

© Riproduzione Riservata

Quotidiano

Quotidiano - Italiano

Territori