Card. Tettamanzi: mons. Brambilla (Novara), “il suo è stato un episcopato dal tratto marcatamente ‘pastorale’”, con attenzione a famiglie ferite, lavoro e immigrati

“A tutti e a ciascuno”: con questa formula “semplice e cordiale il card. Dionigi Tettamanzi soleva rivolgere il suo saluto. Soprattutto quando si trattava di grandi folle, egli esprimeva con questo modo il suo desiderio di raggiungere tutti, di farsi vicino a ciascuno”. Lo scrive sul portale della diocesi ambrosiana mons. Franco Giulio Brambilla, vescovo di Novara e già ausiliare di Milano, alla vigilia del quarto anniversario della scomparsa di Tettamanzi (5 agosto 2017), che fu sulla cattedra di Ambrogio dal 2002 al 2011. “Resta nella memoria la sera del suo ingresso quando, finita la celebrazione, s’intrattenne per oltre due ore e mezzo a salutare ‘tutti e ciascuno’. E così è capitato infinite volte dopo le visite nelle parrocchie e nei momenti d’incontro. Egli amava dire che l’incontro personale è più efficace delle molte parole che noi possiamo pronunciare”. “Il suo – sottolinea Brambilla – può ben dirsi un episcopato dal tratto marcatamente ‘pastorale’: così l’ha insistentemente richiamato a noi, così è passato anche nella percezione delle persone, non solo vicine, ma anche lontane”.
Nel suo articolo, mons. Brambilla ricorda in particolare tre gesti che indicano “il senso della sua preoccupazione pastorale”. “Il primo gesto riguarda le famiglie in difficoltà, separate, divorziate, risposate, in qualche modo colpite nei loro affetti e relazioni. La lettera ‘Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito’ è forse il testo più pastorale che il cardinale abbia scritto. Pur rimanendo rigorosamente fedele alla dottrina e alla prassi vigente della Chiesa, il vescovo scrisse la lettera con il cuore in mano, capace di farsi ascoltare e di trasmettere alla coscienza delle persone il senso evangelico dell’amore tra uomo e donna. […] Il secondo gesto è l’invenzione del Fondo famiglia-lavoro. […] Il terzo gesto si riferisce alla difesa dell’accoglienza e della dignità degli immigrati, di qualsiasi condizione e religione fossero. È stato l’aspetto che ha fatto più rumore e ha generato anche qualche incomprensione e avversione. Il cardinale sapeva, però, che molti di questi immigrati – soprattutto a Milano e nelle grandi città – appartengono già al tessuto vivo della vita civile. Egli non ha aspettato che potessero essere considerati una risorsa per favorirne l’accoglienza e il rispetto, ma, nella scia della grande tradizione dei vescovi ambrosiani, proclamò che bisognava accogliere ‘i poveri che sono sempre con voi’”.

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