Giubileo della consolazione: don Prospero (cappellano Ist. Tumori), “chi soffre non vuole risposte preconfezionate. ma presenza, ascolto, condivisione”

(Foto Istituto Nazionale Tumori/SIR)

“Togliere dalla solitudine la persona che vive una situazione di malattia, paura, angoscia e disperazione”. La consolazione “non è una formula teologica, né una risposta preconfezionata. È diventare presenza, volto, voce che accompagna; è tempo, ascolto, anche rispetto dei silenzi. È insomma un camminare accanto, senza la pretesa di risolvere, ma con il desiderio di esserci”. In un’intervista al Sir, don Tullio Prospero, da 22 anni cappellano all’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, alla vigila del Giubileo della consolazione (15 settembre), racconta che cosa significhi stare accanto a chi soffre, senza risposte prefabbricate, ma con ascolto, umiltà e presenza.
Fondamentale la preparazione teologica, ma non basta. È la relazione “ciò che permette di attraversare la malattia senza sentirsi abbandonati”. “Nella realtà – spiega il sacerdote –, io non incontro teorie, incontro persone. E le persone non chiedono concetti, ma presenza. Spesso, nella formazione, manca l’esperienza sul campo. Ci preparano bene dal punto di vista teorico, ma quando ci troviamo davanti al dolore vero, le risposte standard non funzionano. Ricordo il padre di un ragazzo morto a 24 anni. Quando entrai nella stanza mi avvicinò e mi disse: ‘Esista o meno il paradiso, non me ne frega niente’. In quel momento, la mia ‘carta migliore’ era bruciata. E ho capito che dovevo solo stare, ascoltare, condividere”. Dunque no a quella sorta di “arroganza pastorale” che fa “pensare di dover portare a tutti i cosi a casa un risultato: una conversione, una risposta”. “Il nostro compito è esserci, con umiltà. E accettare che anche l’assenza di fede possa essere un cammino custodito dal Signore esattamente come il mio. La consolazione non è convincere; è condividere”.

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