Giornata del Malato: mons. Marcianò (Omi), “colmare divario tra ricchi e poveri che decide come cure vengono elargite”

“Una buona relazione può contribuire al buon andamento della cura, specie in malattie croniche o particolarmente gravi”: lo ha ricordato l’Ordinario militare per l’Italia (Omi), mons. Santo Marcianò, celebrando questa mattina all’ospedale militare del Celio, a Roma, la Giornata per il Malato. Per l’arcivescovo castrense “la solitudine che separa medico e paziente è negativa”. Richiamando la figura del buon samaritano, mons. Marcianò ha sottolineato che “ciò che fa scuola, in medicina, non è solo la scienza o la tecnica ma lo stile del prendersi cura”. Uno stile che, ha detto, “mi sembra caratterizzi voi e la sanità militare: stile di collaborazione, confronto, condivisione nel prendere in carico le persone, il che può lenire anche la solitudine dei medici”. Da qui deriva un altro aspetto della relazionalità nella malattia, “la fraternità. Non è bene che l’uomo sia solo perché l’uomo, se lasciato solo, non può varcare la porta del dolore. E tante volte la paura del dolore, della malattia, della morte, altro non è se non angoscia di solitudine – ai nostri tempi peraltro così frequente -, che può alimentare richieste di mettere fine alla vita con l’eutanasia o il suicidio assistito”. Ciò che va assistito, invece, ha ribadito mons. Marcianò, “è il malato, anche attraverso una umanizzazione delle strutture e delle procedure sanitarie. Favorire la vicinanza delle persone care, pur con la dovuta organizzazione e prudenza; potenziare, laddove indicato, le terapie domiciliari; rendere più decorosi gli ambienti per rispettare la dignità della persona”. E fraternità significa pure “cercare di colmare quel divario tra ricchi e poveri che troppo spesso decide non solo della modalità con cui le cure vengono elargite ma della tempestività e a volte, purtroppo, anche della stessa possibilità di accesso alle cure stesse. Non lo dimenticate: nessuna politica sanitaria può sovrastare quello sguardo di compassione con cui il samaritano guarda all’uomo, senza sapere chi egli sia o cosa possa offrire in cambio, anzi rimettendoci di persona per un puro motivo di amore”. L’arcivescovo castrense, infine, ha ricordato che c’è una solitudine, nel tempo della malattia, la cui importanza “non sempre è adeguatamente considerata”: la solitudine spirituale. La sofferenza – ha concluso – può essere luogo dell’incontro con Cristo. È una dimensione da non sottovalutare”.

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