Ucraina: metropolita Onofrio (chiesa ortodossa ucraina del Patriarcato di Mosca), “non ci sono scuse per coloro che iniziano le guerre”

“La Chiesa ortodossa ucraina è la Chiesa del popolo ucraino. Unisce i credenti dell’est e dell’ovest, del nord e del sud del nostro Paese. È composto da persone di diverse nazionalità e diverse convinzioni politiche. Ma siamo tutti uno in Cristo. Per più di 1000 anni di storia, la nostra Chiesa è sempre stata e rimane con il suo popolo”. Inizia così una dichiarazione diffusa ieri del Metropolita Onofrio, capo della Chiesa ortodossa ucraina, legata al Patriarcato di Mosca. “Oggi, il nostro Paese sta attraversando un difficile calvario causato dall’attacco al nostro Paese da parte delle truppe della Federazione Russa. In tutte le chiese e monasteri della Chiesa ortodossa ucraina, continuano e si intensificano le preghiere per la pace e la cessazione prima possibile dello spargimento di sangue. Chiediamo costantemente una soluzione pacifica dei conflitti attraverso il dialogo. La guerra è il peggior peccato del mondo. Ci costringe a guardare l’altro non come persona ad immagine di Dio, ma come un nemico da uccidere. Pertanto, non ci sono scuse per coloro che iniziano le guerre”. Nella dichiarazione il metropolita Onofrio parla della morte di “un gran numero di civili, tra cui anziani, donne e bambini”; della distruzione di “infrastrutture umanitarie” come ospedali, maternità, scuole, orfanotrofi. Chi è sopravvissuto è costretto a lasciare le case e persino il Paese per salvarsi la vita, diventando profughi e sfollati. Da qui l’appello a “predisporre veri e propri corridoi umanitari per l’immediata evacuazione dei civili dagli insediamenti sulla linea di fuoco garantendone l’incolumità”. Il metropolita ortodosso chiede anche di “mostrare compassione umana e carità cristiana” per i militari ucraini che “nell’adempimento del loro giuramento e dovere di difendere la Patria, sono stati purtroppo feriti o fatti prigionieri”. E a nome della Chiesa ortodossa ucraina, il metropolita chiede “l’estradizione dei feriti e lo scambio dei prigionieri di guerra”.

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