Terremoto Centro Italia: veglia ad Amatrice. Mons. Pompili (Rieti), “trovare nella prossimità la forza di reagire per onorare quelli che non sono più in mezzo a noi”

Non è stata un esercizio di memoria la veglia di questa notte ad Amatrice per ricordare le vittime del sisma del 24 agosto 2016. “La preghiera – si legge nel sito del settimanale della diocesi di Rieti, Frontierarieti.com che riporta le varie fasi della cerimonia – aiuta a sentire vicino chi non c’è più e i minuti necessari a leggere tutti i nomi dei caduti sembrano aggiungere al ricordo consistenza e durata. Come i colpi di gong che ne ribattono la presenza fino alle 3 e 36”. “Potranno queste ossa rivivere?”. L’interrogativo posto dal profeta Ezechiele ha dato al vescovo di Rieti, mons. Domenico Pompili, lo spunto per rendere esplicite le domande di tanti ad Amatrice: “Che senso ha la vita se poi passa in maniera così tragica e inaspettata? È possibile poter sperare in un nuovo incontro con chi non è più in mezzo a noi? E che senso ha la mia vita, esposta a questo rischio mortale?”. La risposta sta nella figura biblica del cieco Bartimeo, offerta dal vescovo alla riflessione dei presenti: “Non abbiamo molte risposte. Se non gridare come Bartimeo che cerca di farsi notare da Gesù”. “Fin quando non gridiamo – ha notato mons. Pompili – rimaniamo come sospesi. Quando si grida è segno buono, vuol dire che si desidera prepotentemente qualcosa”. La veglia del 24 agosto è stata “un grido, anche se implicito, silenzioso”. Anche la fede, ha aggiunto il vescovo, nasce da un grido. E spesso sembra rivolto a una promessa mancata. “Ma quando Gesù sente il grido di Bartimeo dice ai discepoli ‘chiamatelo’. E se non lo convoca Lui stesso, è per dire che la fiducia può sorgere solo se ci sono altri intorno a noi che ci si fanno incontro. Lo abbiamo sperimentato in questi cinque anni: quando siamo stati raggiunti da chi ci ha aiutato a continuare a camminare, quando abbiamo avuto la fortuna di essere quasi presi per mano da chi non ci ha mai abbandonato”. Segni che vanno presi come un invito a “trovare nella prossimità la forza di reagire alle domande che ci feriscono alle spalle. C’è tanta gente sfiduciata, ma chi è portatore di fiducia dà alla vita un’altra possibilità”. Un atteggiamento che “significa anche onorare quelli che non sono più in mezzo a noi”, riconoscendo che “la loro vita continua anche attraverso la fiducia che sappiamo seminare”.

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