Diocesi: mons. Parisi (Lamezia Terme), “nella consapevolezza del limite costitutivo dell’uomo Dio innesta e manifesta la sua forza”

(Foto: diocesi di Lamezia Terme)

Più di seicento persone hanno partecipato lunedì 25 marzo all’incontro congiunto tra la Scuola biblica e la Scuola per i ministeri per la Lectio del vescovo di Lamezia Terme, mons. Serafino Parisi, su “Il dolore innocente”.
Entrando nel merito dell’incontro, il vescovo ha chiesto: “Perché l’innocente soffre? L’urlo di dolore del giusto cade nel vuoto o c’è Qualcuno disposto a raccoglierlo?”. Ed è stato proprio partendo da “una delle domande più dure, che attraversa i secoli e le culture”, che mons. Parisi ha avviato la sua riflessione che si inserisce “nel contesto della Settimana Santa, che ha al suo centro l’immagine di un innocente che viene crocifisso. Di fronte alla domanda ‘perché l’innocente soffre’, i non credenti sono, in un certo senso, avvantaggiati: chi non crede può attribuire il male al fato, a un destino ineluttabile oppure al caso. Per chi crede, invece, l’interrogativo è drammatico: se Dio è buono, unde malum?”.
Spaziando dai testi della tragedia greca e della filosofia antica per giungere all’Antico Testamento, il vescovo si è soffermato sulla vicenda di Giobbe “che non è, come si dice spesso, un mero paziente. Giobbe urla verso Dio, chiede a Dio di ‘venire fuori’ e di spiegargli il perché del male”. Entrando nei particolari della struttura del libro, mons. Parisi ha fatto notare che “la vicenda di Giobbe smonta quella visione distorta di Dio, sostenuta dagli stessi amici di Giobbe, che rappresentavano un Dio di plastica dal cuore di pietra. La perseveranza nella fede di Giobbe smonta il dubbio che l’accusatore aveva insinuato nella mente di Dio. E il testo conduce a dire che il Signore non ha bisogno di prove. Dio, al contrario, punta su Giobbe contro il Satana, cioè l’accusatore, il destabilizzatore. La sofferenza di Giobbe fa emergere l’uomo nella sua dignità e permette allo stesso uomo di sperimentare, come senso di quel patire, di essere conosciuto da Dio. La sofferenza di Giobbe è come una modalità offerta all’uomo perché possa mostrare la sua fede, perché possa far emergere il dato che Dio conosce profondamente l’uomo al punto di fidarsi di lui e così rispondere, con una visione di reciproco affidamento, a quelli che si pongono l’interrogativo sul dramma della sofferenza e della morte, del male e del dolore”.
Nel concludere, citando Viktor Frankl, il vescovo si è soffermato sul concetto di “homo patiens” evidenziando come “è nel limite che l’uomo esprime la sua verità, perché è nella consapevolezza di quel limite costitutivo dell’uomo che Dio innesta e manifesta la sua forza”.
Dalla vicenda di Giobbe, dunque, “la fede esce vittoriosa e, con la fede, anche l’uomo”.

© Riproduzione Riservata

Quotidiano

Quotidiano - Italiano

Territori