Crollo in cantiere a Firenze: il card. Betori ricorda le “vittime di un sistema sociale che su accoglienza e lavoro va ripensato. Ingiustizie creano danni e morte”

“La dignità del lavoro, componente essenziale della dignità umana, ha come primo presidio la sua sicurezza. Il ripetersi di questi drammatici sinistri è evidente segnale che c’è ancora molto da fare in ambito legislativo, in quello imprenditoriale e delle organizzazioni dei lavoratori, in quello di chi ha responsabilità diretta dei luoghi di lavoro e della loro sicurezza. Anche di questo, che – per restare nel contesto quaresimale – potremmo definire una necessaria ‘conversione’ sociale ha bisogno il nostro Paese, chiamando tutti e ciascuno all’esercizio della responsabilità”. È il monito espresso ieri sera dall’arcivescovo di Firenze, il card. Giuseppe Betori, che ha iniziato l’omelia della messa nella prima domenica di Quaresima invitando a “indirizzare la nostra mente e il nostro cuore accanto ai morti e ai feriti del tragico crollo di venerdì scorso in via Mariti, e quindi ribadire la nostra vicinanza alle loro famiglie e a tutti i loro cari, così pure all’intera nostra città, anch’essa vittima di questo evento luttuoso”.
“Siamo gli uni gli altri custodi dei nostri fratelli. Nessuno può sottrarsi e dire che non lo riguarda”, ha rilevato il porporato, auspicando che “possa questo richiamo produrre decisioni adeguate da parte di chi è coinvolto nel garantire la sicurezza dei lavoratori, mentre come comunità cittadina siamo chiamati a non abbandonare le famiglie provate da questa sciagura e a nutrire gratitudine per i soccorritori”. “Sono sentimenti – ha aggiunto l’arcivescovo – che condividiamo con il Santo Padre e per le sue parole gli siamo profondamente riconoscenti”. Il card. Betori ha poi evidenziato che “in questa tragedia si intrecciano i temi della sicurezza nel lavoro e della convivenza sociale”. “Firenze – ha esortato – ricordi per sempre il sacrificio di Mohamed, Taoufik, Mohamed e di Bouzekri (ancora disperso e che si teme di non trovare vivo), venuti da lontano per lavorare insieme a Luigi, che con loro ha perso la vita, e con gli altri feriti, anch’essi provenienti da altre nazioni, per dare forma nuova a uno spazio cittadino da tempo abbandonato”. “Sono persone migliori di chi li definisce ‘stranieri’, attribuendo loro più doveri che diritti”, ha proseguito l’arcivescovo: “Quando si guardano e si giudicano con distacco, pensiamo che per Luigi sono stati semplicemente colleghi. La prossimità genera umanità”. “Luigi e i suoi compagni – ha concluso il card. Betori – sono stati insieme vittime di un sistema sociale che, a riguardo dell’accoglienza e del lavoro, esige un ripensamento strutturale per superare scelte sbagliate e distruttive. Tutta la città rifletta sul fatto che le ingiustizie creano danni e morte, e il male non fa differenza fra gli uomini. Questa presa di coscienza ispiri un nuovo orientamento del pensiero, delle decisioni, delle azioni”.

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