Medio Oriente: card. Zenari (nunzio), “dare voce alla Siria, la popolazione ha perso tutto”. Silvestri (Avsi), “manca un piano di ricostruzione”

Card. Zenari (Foto Sir)

“Bisogna dare voce alla Siria. La popolazione ha perso tutto, a cominciare da tante vite umane e dalla speranza. Manca il lavoro, la gente ha fame, ha sete, non ha più risorse. Stiamo organizzando cucine popolari. Da almeno tre anni la Siria è stata relegata nell’ombra, non se ne parla più. Con la crisi libanese, il Covid e adesso con l’invasione russa dell’Ucraina, la Siria non conta più. Mio dovere primario è dare voce alla martoriata e dimenticata Siria”: è l’appello lanciato oggi dal card. Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria, durante il convegno “Ospedali aperti in Siria: per curare i malati, per ricostruire una comunità” promosso dalla Fondazione Avsi. L’evento è servito a fare un bilancio dei primi 5 anni del progetto “Ospedali aperti in Siria”, voluto dallo stesso card. Zenari, per offrire cure sanitarie gratuite ai siriani più poveri. L’iniziativa è sostenuta dal dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale, e affidata ad Avsi per la gestione sul campo. Secondo dati forniti dall’ong, a oggi 2 settembre, grazie al progetto sono state assicurate circa 80.000 cure gratuite ai siriani poveri, di tutte le fedi, grazie alla collaborazione con tre ospedali cattolici gestiti da congregazioni religiose, due a Damasco e uno ad Aleppo, e con 4 dispensari. “Stiamo cercando aiuti il più possibile – ha detto il nunzio – perché la povertà sta crescendo. Secondo le Nazioni Unite il 90% circa della gente vive oggi sotto la soglia di povertà. Tanti giovani sognano di lasciare il Paese. Sul piano sanitario il Paese è allo stremo e ha enorme bisogno di ospedali, cliniche, dispensari e di personale. Il numero dei malati cresce sempre più. Curando i malati curiamo anche la società. Non si possono chiudere gli ospedali”.
Ad oggi il progetto ha goduto di 18 milioni di euro spesi per attrezzature sanitarie, diagnostiche, per la formazione dei medici e infermieri, per ammodernare i tre ospedali gestiti da congregazioni religiose, due a Damasco e uno ad Aleppo, e i 4 dispensari collegati. “Quello che facciamo – ha ammesso Zenari – è una goccia nel deserto però bisogna darsi da fare perché, come recita il detto, chi salva una vita salva il mondo. Devo anche dire che per quanto riguarda gli aiuti umanitari le autorità di Damasco danno mano libera alle Chiese. Possiamo lavorare e non ci fanno i conti in tasca. Ogni centesimo che raccogliamo va dritto allo scopo”.
In Siria si combatte dal 2011 e dopo 11 anni di guerra non si parla di ricostruzione. Così il card. Zenari è tornato a paragonare la Siria al viandante malmenato dai ladroni e salvato dal Buon Samaritano: “la Siria non deve essere trasformata in un pezzente. La Siria deve essere messa in piedi e in grado di riprendere il suo posto nel consesso delle nazioni, deve lavorare lei stessa per il suo sviluppo. Va messa in piedi con l’aiuto economico e con la ricostruzione. Da parte della Chiesa lavoriamo per sbloccare questa situazione cercando di dialogare a livello diplomatico. La Santa Sede ha lasciato aperta la propria rappresentanza in Siria e non ha mai interrotto le relazioni diplomatiche. Tanti Paesi occidentali invece sono andati via 10 anni fa e non sono più tornati”.
Alle parole di Zenari hanno fatto eco quelle di Giampaolo Silvestri, segretario generale Fondazione Avsi, per il quale “ad oggi non esiste nessun piano effettivo di ricostruzione, tutte le risorse che vengono stanziate sono ancora insufficienti e destinate a fronteggiare l’emergenza. Nell’ultima conferenza a Bruxelles i Paesi donatori si sono impegnati per 3 miliardi di dollari e finora ne sono stati raccolti meno della metà”.
Un ultimo cenno il cardinale lo ha riservato ai cristiani siriani, oramai sempre di meno: “nella sola Aleppo c’erano 150mila cristiani oggi 30mila”. “Sono partiti quasi tutti. Le minoranze sono l’anello più debole della catena. Non si può parlare di persecuzione ma il futuro è più duro. I giovani chiedono di andare via”. Tuttavia, ha concluso, “i cristiani hanno contribuito con scuole e ospedali a dare sollievo alla società. Anche i jihadisti siriani hanno, in più di un caso, avuto ritegno verso i cristiani perché conoscono bene la missione svolta dalla Chiesa in Siria”.

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