“Il nostro è un tempo di grande aridità, in tutti i campi del vivere umano, un tempo di decomposizione di tante situazioni umane, sociali, religiose, politiche che in passato funzionavano e che col passare del tempo si sono andate decomponendo, forse non solo perché segnate dal logorio del tempo, ma anche perché colpite dalla nostra incuria, dal pressapochismo, dalla superficialità e da quella voglia di inconfessato individualismo che ci pervade un po’ tutti”. Lo scrive mons. Giovanni Intini, arcivescovo di Brindisi-Ostuni, nel suo messaggio per Pasqua.
Di fronte a questa situazione “a noi, il Signore non chiede di attendere inoperosi soluzioni miracolistiche ma di collaborare ritornando ad annunciare la Parola di Dio: una parola di vita, di speranza, di rinascita, di rinnovata fecondità generativa. Dunque, siamo invitati dal Signore a passare dal disorientamento all’annuncio, a una rinnovata evangelizzazione, che possa avviare processi di rinascita, di rigenerazione, di ritrovata vitalità evangelica”.
Il presule evidenzia che “la lotta più difficile è ricominciare a vivere, scuotersi di dosso la ruggine della morte, rinascere dall’acqua e dallo Spirito per ritrovare la mentalità di Cristo. Oggi, a noi Chiesa, questo Dio sta chiedendo di annunciare ai morti del nostro tempo la vita eterna e invocare lo Spirito perché scenda per restituire vita a tutte le cose; dobbiamo fare nostra l’invocazione che deve salire insistente a Dio: Manda il tuo Spirito Signore e rinnova la faccia della terra!”. Non solo: “L’opera di evangelizzazione da intraprendere in questo nostro tempo non potrà essere solo trasmissione di contenuti di fede ma testimonianza, anche silenziosa, di vita, perché ricominciare a vivere secondo Dio e il vangelo è la difficile sfida che il Signore propone a noi e a tutti coloro che si lasciano invadere dallo Spirito del Risorto”.
Mons. Intini precisa: “Siamo chiamati a illuminare il mondo che abitiamo con la luce di Cristo, non con le nostre luci artificiali che spesso illuminano noi stessi, per metterci in mostra, e a comunicare vita, avviando percorsi e processi che aiutino le persone del nostro tempo a gustare la vita, riportandola nell’orizzonte dell’eternità”. E, in questo anno giubilare, “come pellegrini di speranza, abbiamo l’occasione di riscoprire la virtù teologale della speranza”.
E conclude: “Rendere testimonianza della speranza che fa la differenza nella nostra vita e farlo con dolcezza, rispetto e retta coscienza, tratti caratteristici di una vita differente che, nell’attuale mondo in macerie, dice che il discepolo del Signore risorto è una persona scomoda che non potrà mai accettare di produrre o tollerare segni di morte quali la guerra, le disuguaglianze sociali, il razzismo, il deturpamento dell’ambiente, l’umiliazione della donna fino alla morte, la violenza in tutte le sue versioni, compresa la violenza del linguaggio, la non accoglienza del diverso e dello straniero, la soppressione della vita dal concepimento fino al suo tramonto naturale, la corruzione, l’emarginazione dei poveri”.