Diocesi: mons. Parisi (Lamezia Terme), essere “comunità viva”, “esempio per tutti quelli che ci guardano di una redenzione possibile, di una carità che può diventare vita”

“Che cos’è la chiesa, come edificio, come tempio, all’interno di una città, di un paese, di un quartiere se non il segno che c’è una comunità che vive, che sente il bisogno di riunirsi per lodare Dio, per riconoscere e vivere la propria fraternità e per indicare al mondo che la Fede è ciò che ci fa vincere nella logica di Dio, cioè l’essere dentro la comunità degli uomini con la forza dei redenti, con la forza della speranza?”. Così il vescovo di Lamezia Terme, mons. Serafino Parisi, ieri durante la celebrazione della messa che ha presieduto in occasione dei dieci anni dell’apertura al culto della chiesa di Santa Maria Goretti.
“Dieci anni – ha osservato il presule – sono una bella tappa, una considerevole fetta del tempo che ognuno vive. Ci sono stati gli anni tristi della pandemia che ci hanno segnato. Però, dentro queste vicende del mondo il Signore guida sempre i nostri passi e pur dentro le cose del mondo, le difficoltà, non fa mancare il suo aiuto, il suo intervento, la sua presenza. E ripercorrendo questi dieci anni abbiamo tanti, ma tanti motivi per ringraziare il Signore”.
“La domenica di oggi – ha aggiunto il vescovo –, quella che stiamo vivendo, ci dà l’opportunità, seguendo le indicazioni che vengono dalla Parola di Dio, di considerare almeno due aspetti che riguardano la ricorrenza di questa comunità cristiana di Santa Maria Goretti, che oggi, appunto, ricorda i dieci anni dell’apertura della chiesa. E la cosa che più colpisce dalle letture di oggi, sia da quella degli atti degli Apostoli che poi anche dalla lettura del Vangelo, è l’istituzione della prassi cristiana che arriva fino a noi, oggi, di vedersi ogni settimana”. “Oggi – ha spiegato mons. Parisi –noi diciamo venire a messa. All’epoca si diceva che i cristiani che si riunivano erano un cuor solo e un’anima sola. Perché la vicinanza e il rapporto nei confronti del Signore, che è punto di partenza anche nel nostro essere qui oggi, domenica in albis, la seconda domenica di Pasqua, è incontrare il Signore. E lui, di rimando, ci dice: ‘Se volete incontrarvi con me, dovete vivere la comunione tra di voi’”.
Ricordando poi che i primi cristiani “stavano insieme, erano un cuor solo e un’anima sola, vivevano una forma di comunione”, il vescovo ha sottolineato che “conoscere la necessità dell’altro vuol dire diventare responsabile della vita e di ciò di cui l’altro ha bisogno per vivere. Questa – ha ammonito – è la comunità cristiana. Quando, allora, noi ci incontriamo nella chiesa, queste mura sarebbero insignificanti se non ci fosse una comunità viva. Ecco perché bisogna ringraziare il Signore, perché queste mura ospitano una comunità viva”. “Che cosa auguro, allora, a questa comunità per gli anni che verranno?”, ha domandato il vescovo n chiusura: “Auguro a questa comunità quello che si diceva delle prime comunità cristiane: che coloro che vedevano i cristiani riuniti si meravigliavano. ‘Guardate come si amano’. E l’amore dei cristiani, guardato, capito, percepito, diventava occasione di conversione . Ecco, la chiesa è segno nel quartiere di tutto quello che ci siamo detti fino adesso, ma la comunità dei credenti deve essere esempio per tutti quelli che guardano verso di noi, di una redenzione possibile, di una carità che può diventare vita. Ve lo auguro di tutto cuore”.

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