Libri: ne “Il cielo in una pozzanghera” l’esperienza di don Luca Casarosa, cappellano ospedaliero a Cisanello (Pisa) durante il Covid-19

“Don Luca, insieme a medici, infermieri, personale ospedaliero, è stato testimone diretto delle sofferenze, delle paure, delle tragedie che hanno colpito” durante la pandemia di Covid-19 “persone e famiglie, ma anche di tanti slanci di generosità gratuita che hanno sostenuto il cammino di ciascuno ed hanno mostrato che proprio nei momenti più bui della vita, non manca mai la luce della solidarietà umana e della carità cristiana”. Lo scrive l’arcivescovo di Pisa, mons. Giovanni Paolo Benotto, in una delle prefazioni del volume “Il cielo in una pozzanghera” (Pacini editore), nel quale don Luca Casarosa, coordinatore della cappellania ospedaliera di Cisanello – che il Sir ha già intervistato nell’aprile 202o in pieno lockdown – ripercorre la sua vita e la sua esperienza di servizio ai malati e ai poveri, in particolare durante la pandemia.

“In questo contesto di vita e di lavoro, proprio la tragedia del Covid ha messo in evidenza il valore insostituibile dell’assistenza spirituale”, scrive ancora Benotto, specificando che don Luca “possiede la singolarità di essere l’unico ad avere la propria residenza anagrafica nel nuovo Santa Chiara a Cisanello; egli è in ospedale sempre presente giorno e notte perché quella è ‘casa sua’. il suo ambito familiare in cui ormai da quasi trent’anni vive e opera servizio dei malati“.
Per Riccardo Zucchi, rettore dell’Università di Pisa e autore della seconda prefazione, di fronte al dolore e alla sofferenza, “don Luca ha prima di tutto preso su di sé le emozioni, le fatiche, spesso la disperazione di malati e operatori sanitari, con delicatezza e comprensione, pronto a ‘rendere ragione della speranza’ che lo sostiene”, ma sempre “con mansuetudine e rispetto. Un punto alto ed emblematico del suo ministero si è realizzato durante la pandemia, dove nello smarrimento generale ha rappresentato un punto di riferimento riconosciuto da tutti”.
Il malato, scrive don Luca, “ha bisogno di sentire che la sua malattia importa qualcuno, che il suo cammino verso la morte importa a qualcuno, che lui non è un oggetto che muore e se ne va, o se anche soffre alla fin fine per gli altri non significa nulla: questa è davvero la disperazione. Quante volte sento dire dei malati che la loro vita ormai non serve a nulla, è una vigliaccata”. Per il sacerdote, “l’unica maniera di attraversare la malattia è continuare ad amare nonostante il dolore, sforzandosi ed accettare di essere amati. Non è così facile. Oggi purtroppo manca una cultura del dolore, ma dobbiamo ricordarci che non c’è mai un dolore senza un amore e non c’è mai un amore senza dolore”.

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