Tragedia di Palermo: Padula (Copercom), “i social non sono assassini ma territori che ospitano le nostre umanità”

Foto Calvarese/SIR

“Le prevedibili reazioni alla notizia della bambina palermitana morta soffocata per un presunto gioco su TikTok non si sono fatte attendere. E, come da tradizione, ha prevalso lo sdegno, la condanna e le soluzioni coercitive come quella del Garante della Privacy che ha bloccato l’accesso alla piattaforma cinese in caso di mancata conferma dell’età”. Ad affermarlo al Sir è Massimiliano Padula, sociologo della Pontificia Università Lateranense e presidente del Coordinamento delle associazioni della comunicazione (Copercom). Secondo Padula il caso della piccola Antonella riflette la solita e inefficace narrazione popolare e giornalistica che inquadra il web come luogo del male: “non possiamo che addolorarci per una disgrazia di questo tipo che meriterebbe anzitutto rispetto e silenzio per la giovanissima vittima e per la sua famiglia. Nello stesso tempo – nota lo studioso – è importante destrutturare i tanti luoghi comuni che rischiano di alterare la comprensione autentica di fatti come questo”. Secondo Padula, TikTok e tutte le altre piattaforme social, “pur essendo sempre più luoghi massivi dell’esistenza giovanile, non possono essere soggettivizzati a tal punto da essere considerati degli assassini. Anche se caratterizzati da facilità di acceso, labilità delle regole e anonimato, essi non sono altro che territori che ospitano le nostre umanità, le nostre gioie e le nostre sofferenze”.
Per Padula “limitarli è doveroso, ma la storia ci insegna che i limiti sono fatti per essere superati, soprattutto sul web. Ciò che manca – secondo il presidente del Copercom – è proprio il tempo, sempre più spinto sul presente e sull’effimero e quindi spesso incapace di essere vissuto in pienezza e coerenza. L’infanzia, l’adolescenza, la genitorialità, l’educazione sono messe a dura prova perché spesso perdono per strada i propri punti fermi. È necessario – conclude Padula – non solo fare silenzio e pregare, ma ripensare i nostri tempi e, di conseguenza, le nostre responsabilità. Questo vale per i gestori dei social, per l’informazione e per tutte le persone che online possono diventare protagonisti di bellezza o, come purtroppo è successo in questo caso, di vicende tragiche”.

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