“Nel pellegrinaggio l’uomo cerca, in fin dei conti, se stesso, esce dal proprio io come in un esodo che contiene in sé, in modo più o meno esplicito, il desiderio di un’apertura verso gli altri e di un’ascensione verso Dio. Sì, siamo tutti un po’ come Ulisse, nel suo eterno ritorno verso casa, nell’affrontare ostacoli, prove e difficoltà. E come Ulisse anche noi veniamo notevolmente trasformati se il nostro cammino ha una patria e dei compagni di viaggio”. Lo ha detto ieri il vescovo di Albano, mons. Vincenzo Viva, aprendo nella cattedrale di San Pancrazio, preceduta dal pellegrinaggio dalle Catacombe di San Senatore alla stessa basilica cattedrale, il Giubileo 2025 anche nella Chiesa di Albano. “Una patria, una mèta, ma anche un camminare insieme, attenti al passo dell’altro e senza egoismi individualistici!”, ha detto mons. Viva spiegando che il pellegrinaggio, “come segno distintivo dell’Anno Santo, non è allora un camminare senza mèta, senza senso, persi nel vuoto e nel nulla. Non siamo vagabondi o girovaghi, ma pellegrini, anzi ‘pellegrini di speranza’ ci dice Papa Francesco per questo Giubileo: abbiamo una mèta, un traguardo da raggiungere. È l’incontro con il Signore che dà senso e valore a tutte le realtà umane e alle nostre esperienze”. L’invito del presule è quello di “far sperimentare a tutti i doni di questo speciale anno di grazia e di conversione. Siamo chiamati ad essere lievito di speranza per le nostre città e in tutti gli ambienti della vita quotidiana. Siamo chiamati a declinare la speranza cristiana in gesti e opere concrete”. Il pensiero del vescovo di Albano è quindi andato agli ultimi, ai poveri e agli emarginati, da accogliere e sostenere: “Il nostro compito, come comunità ecclesiale – ha detto mons. Viva – è quello di stare vicino alle persone, di restituire dignità agli ultimi, di mettere al centro la persona e farla sentire a suo agio. Per noi il povero non è un problema sociale da risolvere, ma la presenza viva di Cristo che siamo chiamati ad incontrare e abbracciare, specialmente in quest’Anno giubilare. A volte vediamo come i poveri sono considerati dalle grandi città come ‘un problema sociale’ da togliere dalla vista di chi sta bene. Nell’Anno giubilare siamo chiamati allora ad essere segni tangibili di speranza per tutti, ma in modo particolare per tanti fratelli e sorelle che vivono in condizioni di disagio e lontani dal cuore delle nostre comunità. Se come Chiesa di Albano vogliamo essere ‘comunità e popolo della speranza’, impegniamoci a declinare la speranza sia nella sua dimensione verticale, offrendo a tutti occasioni di rinnovamento spirituale e incontro con Dio, ma anche nella sua dimensione orizzontale, cioè come una ‘virtù performativa’, capace di produrre fatti e cambiare la vita”.