Meeting Rimini: Tarì (scrittrice) “le malattie dei miei figli mi hanno cambiato in meglio”

(Da Rimini) Il bene che nasce dall’accoglienza: questo hanno raccontato i protagonisti della dell’incontro “Accogliere, accompagnare, educare. Esperienze di vita di accoglienza” che si è svolto oggi al Meeting di Rimini. Al centro le esperienze di Famiglie per l’accoglienza, una “rete di famiglie diffusa in tutt’Italia e nel mondo – ha spiegato il presidente Luca Sommacal – che da 40 anni si accompagnano nell’avventura dell’accoglienza”. Tra loro Letizia e Leonardo Speccher, che hanno accolto Caterina, una bimba gravemente disabile che l’anno scorso è morta. “Quelli con Caterina sono stati anni pieni – ha raccontato Letizia -: di vita, di fatica e di dolore ma anche di gioia: provocazioni della vita che ci imponevano di stare lì, accanto, anche nell’impotenza”. “Quando pensano alla nostra storia tutti ci dicono: che sfortuna – ha aggiunto Leonardo – mentre a me viene continuamente da ringraziare: questa storia poteva non esserci, ed è stata una storia ricca, piena sovrabbondante. Aver ricevuto un gran bene è la consapevolezza che ci accompagna”. “Il dolore per la morte di un figlio non può sparire, come quello per non poter avere figli naturali – aggiunge Letizia -. Ma abbiamo imparato a guardare non ciò che manca ma quel di più che abbiamo incontrato”. Di “dono” aveva parlato anche Nadia Toffa riferendosi al tumore che poi l’ha uccisa, in una frase che è stata molto discussa. Proprio in quell’occasione Mariangela Tarì, mamma di Sofia, una bimba con la sindrome di Rett, e di Bruno, colpito a 5 anni da un grave tumore (che gli ha lasciato una disabilità permanente) ha scritto una lettera a LaRepubblica raccontando la sua esperienza riportata al Meeting: “La disabilità è un lungo percorso di conoscenza della famiglia con la disabilità – dice Tarì che è anche autrice del libro “Il precipizio dell’Amore” (Mondadori) – ; un tumore che colpisce i bambini, invece, ti disintegra perché ti ricorda immediatamente che la sua vita può finire”. “Con Sofia, all’inizio ci siamo trasformati in fisioterapisti, psicologi, pediatri – prosegue -, ma le cose sono cambiate quando ho capito che dentro quella malattia c’era una bambina che voleva solo la sua mamma. E così ho iniziato a riscoprire la mia vita, ho ricominciato a lavorare e man mano che le portavo pezzi di questa vita le cose si illuminavano”. “Invece di lasciarmi trascinare dalla vita, ho provato a darle un senso – sintetizza – con l’associazione dedicata a Sofia che aiuta altri bimbi nelle sue condizioni, con il libro, nel fare le cose con i miei figli, in quello stupore che cambia tutto”. Lì che è arrivato il dono, spiega: “Le malattie dei miei figli mi hanno cambiato, in meglio. Ho scoperto che il dolore ha una potenza creatrice, esattamente come l’amore”.

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