Settimana teologica Meic: Ferrari (monaco), “per la Bibbia siamo tutti ospiti davanti a Dio”. Giacomini (filosofa), “trovare equilibrio tra accoglienza e ‘prudenza'”

“Stranieri e ospiti: per la Scrittura lo siamo tutti, davanti a Dio”. Matteo Ferrari, monaco camaldolese, ha scelto di partire da questo dato per l’approfondimento biblico sul tema dell’ospitalità che ha offerto ai partecipanti della Settimana teologica del Meic, in corso proprio al Monastero toscano. Ferrari ha sottolineato come l’ospitalità sia “una chiave di lettura che ci permette di entrare nella Scrittura, permettendoci di cogliere uno specifico della tradizione ebraico-cristiana”. Il monaco ha ripercorso le vicende dell’Antico testamento, da Genesi al Levitico, ricordando appunto come Dio stesso definisca Israele, “il suo popolo, come un popolo di stranieri e di ospiti, perché la terra appartiene a Lui”. Questo assunto diventa il fondamento dell’ospitalità dei credenti in una doppia dimensione: “un’ospitalità verticale, che l’uomo sperimenta nei riguardi di Dio e nella relazione con Lui, e un’ospitalità orizzontale, che gli uomini e le donne vivono nei confronti dei loro simili che si recano nel loro terra non per rivendicare diritti ma per accogliere un dono gratuito”.
Un’accoglienza, questa, che è “una contraddizione in termini” che però la nostra stessa storia ci impone di risolvere: così l’ha definita Bruna Giacomini, docente di Storia della filosofia all’Università di Padova. “Da una parte – ha spiegato – ci sono le istanze etiche, teologiche e anche politiche che ci spingono ad accogliere con la massima apertura”; dall’altra “c’è l’esigenza di responsabilità nei confronti delle comunità che accolgono e nei confronti di chi non è possibile accogliere”. Ma, ha evidenziato, davanti a questa contraddizione ce n’è un’altra: quella per la quale “alla base della cultura classica e alle radici ebraico-cristiane della nostra cultura sta proprio il principio dell’accoglienza”, un paradosso per il quale oggi quando rivendichiamo la nostra identità, “rivendichiamo un’identità aperta, plasmata dall’accoglienza delle altre culture”. Ecco perché è necessario “superare queste contraddizioni trovando un equilibrio”.

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