Diocesi: mons. Caiazzo (Matera), “nessuno trovi porte chiuse nei nostri ospedali e sia costretto a curarsi altrove”

“In un momento così difficile, come ho già sottolineato in altri contesti, avverto l’urgenza di porre una particolare attenzione alle strutture sanitarie locali e regionali. Maria e Giuseppe non trovarono porte aperte per accoglierli. Maria, incinta e pronta a partorire, non ha avuto né un luogo adatto né l’assistenza sanitaria indispensabile per essere aiutata nel parto. Ci auguriamo che nessun conterraneo trovi porte chiuse nei nostri ospedali e sia costretto a curarsi altrove. Ci sono potenzialità e strutture che hanno solo bisogno di essere valorizzate e messe al servizio dell’intero territorio”. Lo ha affermato ieri l’arcivescovo di Matera-Irsina, mons. Antonio Giuseppe Caiazzo, nella messa che ha celebrato nella cappella dell’ospedale Madonna delle Grazie.
Rivolgendosi al personale medico e agli ammalati, l’arcivescovo ha sottolineato che “è giusto e sacrosanto desiderare la guarigione del corpo e curarlo, ma abbiamo bisogno anche di essere curati nell’anima”. E, dopo aver ricordato alcuni passi della lettera apostolica “Patris corde” di Papa Francesco, mons. Caiazzo ha ricordato che “durante quest’anno, segnato dalla pandemia, tra medici e infermieri ci sono stati oltre 30.000 contagiati e centinaia di caduti per Covid-19”. E ha lodato la “missione vera e propria” del personale sanitario spesso svolta “stando nell’ombra, con molta discrezione, accogliendo con responsabilità tutti coloro che soffrono”. “L’opinione pubblica”, ha proseguito, “alquanto manipolabile, passa facilmente dal proclamarvi eroi ad accusarvi di inadeguatezza”. “Immagino che per ognuno di voi perdere una vita rappresenti una sconfitta ed è sempre doloroso comunicare ai familiari la ferale notizia. Compito ingrato. Così come – ha aggiunto – è una grande gioia ogni volta che un paziente guarisce e può tornare a casa e riabbracciare i propri cari”. Sull’esempio di quella di Gesù, Giuseppe e Maria, ha osservato Caiazzo, “anche voi siete una grande famiglia, con l’unico intento di stare accanto a persone vulnerabili che diventano parte della vostra vita. Raccogliete le loro speranze, la fiducia che ripongono in voi ma anche le loro paure che, soprattutto in questo tempo di pandemia, diventano anche vostre”. Per questo, ha concluso l’arcivescovo, “grazie per quanto fate, per come lo fate, per l’amore che sapete seminare”.

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