Sudan: fr. Dalle Carbonare (comboniani),”da inizio conflitto su 20 missionari ne sono rimasti 11. Sarà una guerra a bassa intensità la norma dei prossimi anni”

“Da quando è scoppiata la guerra, il 15 aprile dello scorso anno, la vita di tutti in Sudan è cambiata in peggio, e la Chiesa non fa eccezione. Mentre la guerra colpisce direttamente la capitale Khartoum, tutta la regione occidentale del Darfur e alcune altre città (in particolare El Obeid e Wad Medani, ma – in misura minore – anche altre città), il Nord e l’Est del paese sono finora risparmiati da sparatorie, bombardamenti e saccheggi”. Secondo le agenzie internazionali “gli sfollati sono più di 10 milioni, e almeno 5-7 milioni si trovano a fronteggiare insicurezza alimentare o fame. Le scuole sono state interrotte nella maggior parte delle aree del Paese, così la semina e la raccolta, mentre i principali servizi, come la sanità, sono stati profondamente colpiti”. E’ la toccante testimonianza di Fr. Diego Dalle Carbonare, provinciale superiore dei missionari comboniani Egitto-Sudan, condivisa alla 101ª Assemblea superiori generali in corso fino a domani ad Assisi sul tema “Fedeli all’eredità del Concilio Vaticano II”.
Anche la vita della Chiesa, prosegue il missionario, è profondamente segnata dalla guerra “con centinaia di migliaia di cristiani tra gli sfollati e i richiedenti rifugio che hanno attraversato il confine con i paesi vicini”. “La maggioranza del clero e dei religiosi ha lasciato il Paese, riducendo il numero dei consacrati a una ventina di persone, mentre prima erano intorno al centinaio. La sfida per i pochi rimasti e per coloro che ora sono disposti a tornare in Sudan non è tanto sapere come lavoreremo ‘dopo la guerra’, ma come lavoreremo in un Paese che, secondo chiunque, vedrà diventare una guerra a bassa intensità la norma dei prossimi anni”.
“Dei 20 missionari comboniani che erano in Sudan il giorno in cui è iniziata la guerra – spiega ancora fr. Dalle Carbonare -, ne sono rimasti 11. Altri se ne sono dovuti andare a causa dei traumi causati dall’essere stati direttamente esposti a combattimenti e bombardamenti. Quelli che restano – e anche quelli che sono tornati dopo qualche tempo – hanno deciso di portare avanti il proprio lavoro pastorale nelle parrocchie fuori dalla capitale (le nostre 3 missioni di Port Sudan, Kosti e El Obeid). Per ciascuno è stata una scelta difficile: alcuni sono arrivati a questa decisione per solidarietà verso la popolazione e per dare loro speranza alla gente; altri (soprattutto i confratelli più giovani) anche per solidarietà agli anziani e ai vescovi locali (in tre missioni ci troviamo a gomito a gomito con i tre vescovi presenti nel Paese), che a loro volta si sono dimostrati molto generosi nel rimanere sul posto”.

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