Primo maggio: Cei, “prenderci cura del lavoro è atto di carità politica e di democrazia”

“Prenderci cura del lavoro è atto di carità politica e di democrazia”. Lo sottolineano i vescovi italiani, nel messaggio per la Festa dei lavoratori intitolato “Il lavoro per la partecipazione e la democrazia”, a firma della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace.
“A ciascuno il suo” è “questione elementare di giustizia: a chiunque lavora spetta il riconoscimento della sua altissima dignità. Senza tale riconoscimento, non c’è democrazia economica sostanziale”. Per questo, “è determinante assumere responsabilmente il ‘sogno’ della partecipazione, per la crescita democratica del Paese”.
Le istituzioni devono assicurare “condizioni di lavoro dignitoso per tutti”. Tra le condizioni di lavoro “quelle che prevengono situazioni di insicurezza si rivelano ancora le più urgenti da attenzionare, dato l’elevato numero di incidenti che non accenna a diminuire”.
Un lavoro dignitoso esige “anche un giusto salario e un adeguato sistema previdenziale, che sono i concreti segnali di giustizia di tutto il sistema socioeconomico (cfr. Laborem exercens, 19)”. Bisogna “colmare i divari economici fra le generazioni e i generi, senza dimenticare le gravi questioni del precariato e dello sfruttamento dei lavoratori immigrati. Fino a quando non saranno riconosciuti i diritti di tutti i lavoratori, non si potrà parlare di una democrazia compiuta nel nostro Paese”.
I lavoratori, a loro volta, “si sentano corresponsabili del buon andamento dell’attività produttiva e della crescita del Paese, partecipando con tutti gli strumenti propri della democrazia ad assicurare, non solo per sé ma anche per la collettività e per le future generazioni, migliori condizioni di vita”.
I vescovi assicurano: “Le Chiese in Italia, impegnate nel Cammino sinodale, continuano nell’ascolto dei lavoratori e nel discernimento sulle questioni sociali più urgenti: ogni comunità è chiamata a manifestare vicinanza e attenzione verso le lavoratrici e i lavoratori il cui contributo al bene comune non è adeguatamente riconosciuto, come anche a tenere vivo il senso della partecipazione”. In questa prospettiva, “gli Uffici diocesani di pastorale sociale e gli operatori, quali i cappellani del lavoro, promuovano e mettano a disposizione adeguati strumenti formativi. Ciascuno deve essere segno di speranza, soprattutto nei territori che rischiano di essere abbandonati e lasciati senza prospettive di lavoro in futuro, oltre che mettersi in ascolto di quei fratelli e sorelle che chiedono inclusione nella vita democratica del nostro Paese”.

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