Siria: “Un Ponte Per”, bombardamenti turchi colpiscono la popolazione civile

Foto Unhcr

Tra il 13 e il 16 gennaio l’esercito turco ha condotto 220 bombardamenti in Siria a cui si aggiunge il lancio di altri 112 attacchi via terra che hanno colpito indiscriminatamente la popolazione civile e luoghi vitali come centrali idriche, elettriche e petrolifere, con ripercussioni gravissime sulle persone, tra cui l’interruzione di acqua, corrente elettrica, riscaldamento. A denunciare la ripresa dei raid turchi contro il territorio siriano e la sua popolazione civile è Rizwan Ul-Haq, capo missione dell’ong “Un Ponte Per” nel nord est della Siria. “Siamo senza acqua, senza elettricità e gravemente limitati negli spostamenti. Le temperature nel frattempo sono scese sotto lo zero. Non so dire per quanto ancora riusciremo a garantire servizi salvavita”, sono le sue parole riferite dall’ong. “In queste ore stiamo cercando di fare scorte di carburante per i generatori e per gli spostamenti di emergenza salvavita nelle cliniche e negli ospedali”. “Dal 15 gennaio – spiegano da Un Ponte Per – nei campi per persone sfollate è arrivato uno stop alle consegne di carburante con effetto immediato e a tempo indeterminato, lasciando gli abitanti senza la possibilità di cucinare o riscaldarsi. Le persone nelle tende rischiano di morire di freddo”. Gli attacchi hanno interessato le aree comprese tra Derik, Qamishlo, Amuda e Kobane. Sono stati colpiti 92 siti civili e le vittime sono 12. Sono già 9 le centrali elettriche messe fuori servizio, causando la perdita di corrente in oltre 2mila fra città e villaggi. “La mancanza di carburante, acqua ed energia sta creando gravi limitazioni al lavoro umanitario” di Un Ponte Per e dei suoi partner. “Le restrizioni di movimento impediranno a breve di portare servizi e assistenza alla popolazione. L’assenza di corrente elettrica e acqua nelle cliniche e nelle strutture sanitarie”, sostenute dall’ong, “renderà impossibile garantire assistenza sanitaria e cure, anche salvavita, alle persone colpite”. La situazione sta peggiorando di ora in ora. “Come operatori e operatrici umanitarie, ci sia consentito fornire assistenza salva vita a una popolazione che è tra le più perseguitate al mondo”, conclude Rizwan.

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