Dialogo islamo-cristiano: cristiani e musulmani a Lampedusa. Mons. Damiano (Agrigento), “non chiamatela emergenza sbarchi. Siamo di fronte ad un fenomeno che deve essere affrontato e gestito”

(Foto Sir)

(Lampedusa) “Lampedusa ha da dire tante cose. Certamente ha da dire due parole: giustizia e verità. La verità che da tempo si vuole affermare è che non si può più parlare di emergenza”. È mons. Alessandro Damiano, arcivescovo di Agrigento, a parlare degli sbarchi sull’isola di Lampedusa a margine della visita di un gruppo di musulmani e cristiani giunti qui oggi nell’ambito di una iniziativa promossa dall’Ufficio Cei per il dialogo e dalle principali comunità islamiche italiane dal titolo, “Sulla stessa barca”. “ L’emergenza sbarchi – dice l’arcivescovo – non è una emergenza. Chiamarla così significa etichettarla come una cosa che accade all’improvviso e non si sa perché, come o quando. Ma qui il perché si sa. Le rotte dei migranti hanno tante ragioni che sono politiche, economiche, climatiche. Una verità semplice da affermare è che non siamo di fronte ad una emergenza ma di fronte ad un fenomeno che deve essere affrontato e gestito”. Rivolgendosi poi ai partecipanti nella parrocchia-simbolo di San Gelardo nel centro della città di Lampedusa, l’arcivescovo ha detto: “Siamo in questa porta che è diventata suo malgrado centro del Mediterraneo e sotto i riflettori costantemente. La posizione geografica dell’isola ha in qualche modo orientato Lampedusa a farsi luogo di prossimità”. Abbiamo accolto uomini, donne e bambini, abbiamo dato loro da mangiare, da vestirsi. Poi i flussi sono aumentati e in qualche modo la prossimità è diventata relazione di conflittualità tra nazioni. Ma ripeto, l’emergenza è quando qualcosa accade all’improvviso ma se accade in modo sistematico non può più chiamarsi emergenza”. La seconda parola che emerge da Lampedusa è “giustizia”. “Richiama – dice mons. Damiano – un’accoglienza che sia carica di umanità”. “Ho visto gli occhi dei bambini che arrivano qui e a cui si da una bottiglietta di acqua in attesa che si facciano i primi accertamenti. Sono occhi impauriti. Fare in questi momenti gesti anche piccoli di umanità, come una carezza o il tepore di un tè caldo, possono fare la differenza”.

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