Terra Santa: Pizzaballa (patriarca) falliscono i “progetti di pace a tavolino. Uscire da pregiudizi e stereotipi: palestinesi terroristi e israeliani quelli dell’occupazione”

Patriarca Pizzaballa

“In 30 anni trascorsi in Terra Santa ho visto tanti fallimenti dei progetti di pace e della politica e insieme a me anche la nostra gente. Parlare di pace ormai è uno slogan retorico in un contesto dove il conflitto esiste e lo tocchi con mano ogni giorno. Come Chiesa, tuttavia, non possiamo rinunciare a parlare e a sognare la pace che non deve partire dalle attese politiche ma dal nostro atteggiamento come persone e come comunità. Partire dal basso”. Lo ha detto mons. Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, in una conversazione on line, il 2 gennaio, con la Fraternità Evangelii Gaudium, nell’ambito della serie di incontri “Ad alta voce, per un’altra via”. “I fallimenti della politica – ha affermato il patriarca – sono quelli di chi ha immaginato la pace a tavolino, mentre la pace deve essere costruita nel territorio poco alla volta. Lavorare non nei grandi gesti, che in questo momento non sono possibili e avrebbero un sapore retorico”, ma a partire “dal territorio, israeliani, palestinesi, ebrei, musulmani, cristiani, associazioni, movimenti, gruppi con i quali ricominciare a costruire un tessuto, una rete per far crescere, come un seme, questo desiderio di pace”. “Costruire la pace nel nostro cuore”, ha spiegato mons. Pizzaballa, vuol dire “costruire relazioni di pace serene nelle nostre famiglie e nelle nostre comunità molto spesso litigiose. Vuole dire costruire relazioni di pace libere da pregiudizi e stereotipi quali ‘i palestinesi sono terroristi, gli israeliani sono tutti quelli dell’occupazione’. Bisogna uscire dagli stereotipi e vivere con libertà le relazioni”. Il patriarca si rivolge anche alla comunità cristiana: “Non possiamo attendere la pace per vivere la nostra vita comunitaria. Non possiamo vivere di rimando, in perenne attesa mentre invece dobbiamo vivere il nostro presente”. Da Pizzaballa anche un plauso alla piccola comunità cristiana di Gaza, meno di mille fedeli su due milioni di abitanti musulmani: “Gaza sta soffrendo molto, quest’anno in modo particolare perché i cristiani non sono potuti uscire per Natale e sono rimasti dentro. Le celebrazioni hanno risentito delle restrizioni per il Covid-19. Impossibile entrare e uscire. Hanno avuto anche qualche problema con delle cellule fanatiche della Striscia. Mi piace sottolineare che nonostante le difficoltà hanno fatto tutto quello che si fa ogni anno per Natale. Questo è segno di vivacità e caparbia tenacia nella loro fede”.

© Riproduzione Riservata

Quotidiano

Quotidiano - Italiano

Mondo