Coronavirus Covid-19: mons. Battaglia (Cerreto) e don Pagano (Quarto), a presidente Regione Campania “la crisi che viviamo è un moltiplicatore di disuguaglianze”

“Da oltre un mese le strutture e i progetti per disabili gestiti dalle cooperative iCare e Regina Pacis sono chiusi e non si sa, ragionevolmente, quando e come potranno riaprire. Sappiamo che queste realtà a noi tanto care – non foss’altro perché i ragazzi speciali che le frequentano fanno ormai parte della nostra vita – condividono la stessa sorte di tante altre comunità e dei numerosi centri socio-educativi per disabili sparsi sull’intero territorio regionale e nazionale”. Lo scrivono, in una lettera al presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, il vescovo di Cerreto Sannita-Sant’Agata de’ Goti-Telese, mons. Mimmo Battaglia, e il direttore della Fondazione Centro educativo diocesano Regina Pacis di Quarto (diocesi di Pozzuoli), don Gennaro Pagano, esprimendo il loro “personale dolore nel pensare alla sorte di tanti ragazzi e delle loro famiglie”. “Quanti di questi genitori – proseguono il vescovo e il sacerdote – vivono nello sconforto, nella solitudine e non di rado nella disperazione più totale! Quanti, anche in questi giorni, per l’estrema necessità della salute psichica dei propri figli sono costretti, di nascosto, ad uscire di casa, sentendosi però impauriti dai modi inquisitori e dai toni minacciosi che talvolta utilizzano alcuni esponenti delle forze dell’ordine – alla cui maggioranza va la nostra gratitudine per il servizio quotidianamente svolto in favore della collettività – esasperando in tal modo il malessere sociale già enormemente diffuso! Quanto ancora dovrà vedere aumentare il suo carico di sofferenza chi già soffriva, quanto vedrà crescere il proprio tempo della disperazione chi, a questa ‘pratica’ indesiderata del patire interiormente per i propri figli, dedicava già molte ore delle sue settimane?”
Per i due firmatari della missiva a De Luca, “la crisi che viviamo è tutt’altro che ‘democratica'”, “è un moltiplicatore delle diseguaglianze, che rende poverissimo chi era povero, disperato chi era scoraggiato, invisibile chi era poco visto”. Perciò, si chiedono “se per i tanti marginali del nostro Paese la reclusione forzata sia l’unica strada possibile. Non siamo scienziati e neanche degli amministratori ma ci domandiamo se nel 2020 riusciremo a pensare ad altre soluzioni di convivenza sociale, capaci di coniugare le esigenze della salute corporea con quelle della salute mentale e spirituale degli individui e della comunità intera. Il rischio, in caso contrario, è che la cura faccia più male della malattia!”. E concludono: “Ci domandiamo anche, e non per deformazione professionale – ci creda –, se un visione più spirituale dell’esistenza non possa aiutare tutti noi in questo momento complesso e drammatico in cui la paura della morte e la dittatura dell’economia mortifera ci ha tutti ingabbiati e asfissiati”.

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