“Non possiamo lasciare sparire i cristiani del Medio Oriente”. È l’appello lanciato da mons. Jacques Mourad, arcivescovo della cittadina siriana di Homs che, di passaggio in Italia, ha portato la sua testimonianza durante un incontro a Firenze. In un’intervista pubblicata sul numero di Toscana Oggi in uscita in questi giorni, mons. Mourad (che nel 2015 ha trascorso 5 mesi di prigionia nelle mani dell’Isis) denuncia la mancanza di libertà religiosa, nonostante la Costituzione provvisoria, in vigore dopo la caduta del regime di Assad, chieda l’uguaglianza di tutti i cittadini. “La libertà di religione – afferma – non è solo avere il permesso di praticare il culto. Ci sono tante altre cose che come diritti umani abbiamo bisogno di ricevere, per vivere con libertà come cristiani in un Paese islamico. Per me non è un problema che la Siria sia un Paese islamico, ma è un problema che noi cristiani che facciamo parte di questo Paese, siamo le origini di questo Paese, non possiamo vivere come cristiani. Siamo siriani più di tutti gli altri abitanti della Siria e non accettiamo di essere considerati come ospiti”. Secondo i dati della fondazione Acs (Aiuto alla Chiesa che soffre) i cristiani erano oltre due milioni prima della guerra, oggi sono meno di 500mila: “Tutti i siriani, soprattutto i cristiani – dice Mourad – cercano di andare via perché per loro non c’è una visione di futuro. Manca la sicurezza, mentre continuano la violenza e le vendette. Le persone cercano la stabilità e la dignità, cose che non abbiamo nella nostra patria. Per questo è nostra responsabilità come Chiesa, come pastori, di aiutare a trovare un modo per tenere qui il nostro popolo”. Nelle drammatiche condizioni di povertà della Siria, afferma Mourad, “la Chiesa è l’unica speranza per tutto il popolo siriano. Dobbiamo dirlo perché grazie a tutto l’aiuto che viene da tante organizzazioni, parrocchie, fedeli in Europa e in altri Paesi che ci sostengono, noi come Chiesa in Siria possiamo aiutare il nostro popolo che soffre per la fame, per le distruzioni lasciate dalla guerra, per le sanzioni. Senza questo aiuto, davvero, tanti sarebbero morti o in una situazione tremenda”. La Chiesa, aggiunge, è anche strumento di pace in queste terre: “La nostra lunga esperienza con i musulmani permette a noi di vivere, di essere l’esempio della Chiesa in dialogo, in cammino, in armonia con i nostri fratelli e sorelle musulmani. Per questo non dobbiamo perdere questo valore. Se oggi c’è ancora questa piccola comunità cristiana che è rimasta, bisogna proteggerla, aiutarla”.