Caporalato: don Polidoro (Migrantes Matera), strage migranti sulla Val d’Agri “speranza tradita”

Un appello alla coscienza civile ed ecclesiale perché “si passi dall’indifferenza al riconoscimento della dignità di tutti i migranti” viene espresso all’indomani dell’incidente sulla statale della Val d’Agri, costata la vita a quattro lavoratori stagionali, da don Antonio Polidoro, direttore dell’Ufficio Migrantes della diocesi di Matera-Irsina. A pochi giorni dal Giubileo dei migranti sul tema della speranza il sacerdote ricorda le parole di Leone XUIV e evidenzia che la speranza è stata “spezzata definitivamente per quattro di loro, lavoratori stagionali, che, sulla strada Statale Val d’Agri, hanno perso la vita”. Viaggiavano in dieci su un’auto omologata per sette, e dei dieci, oltre ai quattro morti, uno è in fin di vita all’ospedale di Potenza e altri cinque versano in condizioni gravi all’ospedale di Policoro, scrive nella nota aggiungendo che i dieci braccianti stavano tornando a Corigliano, in Calabria. Facevano ogni giorno complessivamente 170 chilometri tra andata e ritorno per “venire a lavorare nei campi della nostra Basilicata. Partiti chissà quanto tempo fa dalle loro terre natali e animati da un’aspirazione non solo legittima e ammirevole di poter realizzare la propria vita, hanno invece trovato la morte con la terribile aggravante di essere lontani da casa. Alle famiglie di origine non arriveranno più le ‘rimesse’, ciò che avrebbe loro assicurato pane, vita, speranza, e un futuro migliore, ma avranno solamente una notizia brutta che genererà strazio e disperazione, fallimento e alienazione. A queste famiglie esprimiamo il cordoglio e la vicinanza delle nostre Chiese di Basilicata”, scrive don Polidoro: la “strage dei braccianti” deve “interrogare sentitamente sulle responsabilità a monte, quelle che vanno ben oltre o sono ben prima la dinamica dell’incidente: precarietà conclamata, sfruttamento senza troppo scrupolo, condizioni alloggiative informali o indegne per un essere umano, mancanza di servizi a volte anche minimi, assenza di assistenza sanitaria e, poi quella tremenda inosservanza delle norme di sicurezza. Abbiamo – continua il sacerdote – la responsabilità di guardare quegli ‘occhi carichi di angoscia e speranza’ e di operare con insistenza e determinazione perché l’attuale sistema di accoglienza che, così purtroppo è fallimentare, giacché ha come risultato un posto precario, diventi invece capace di garantire integrazione, dignità, inclusione”. Per don Polidoro quanto accaduto “interroga e deve interrogare di continuo la coscienza dei credenti ma anche la coscienza civica di tutti affinché ci sia un salto di qualità nella speranza che deve animare questo frangente e cioè dall’indifferenza alla dignità da riconoscere a tutti. Ci serve un cambio di paradigma vero e radicale; un cambio di prospettiva che deve poter generare risposte strutturate e integrate e non solamente soluzioni emergenziali, affinché possa essere costruito un tessuto nel quale ognuno di noi si sperimenti trama e ordito allo stesso tempo, una rete non per intrappolare quanto piuttosto per salvare, per tirare fuori dal mare e dal male questi nostri fratelli”. Questa tragedia – conclude – può essere, lo speriamo, la scintilla che fa scoppiare un autentico cambiamento culturale, capace di accrescere nel cuore di ciascuno il desiderio di speranza e di un futuro dignitoso e pacifico per tutti gli esseri umani”.

 

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