
Una Veglia per il lavoro affollata per riflettere, da cristiani, sul mondo occupazionale. È stata quella promossa ieri sera dall’arcidiocesi di Milano in collaborazione con le Acli, l’Azione cattolica ambrosiana e la Compagnia delle Opere. Aperta – nella sede regionale Acli – dal saluto di don Nazario Costante, responsabile del Servizio diocesano per la Pastorale sociale e il lavoro, che osserva “la speranza non è un’illusione, ma un impegno quotidiano per costruire un futuro perché il lavoro umano è una chiave fondamentale della questione sociale”, la Veglia ha visto, tra altri interventi istituzionali, la riflessione centrale affidata a tre voci al vertice del mondo delle associazioni. A partire dal “padrone di casa”, il presidente delle Acli Lombardia, Martino Troncatti. “Nel corso del 2024 – ha detto – il numero complessivo di lavoratori è aumentato dell’1,5%, toccando quota 24 milioni, di cui oltre 10 milioni di donne, sebbene il tasso di partecipazione femminile continui a collocarsi significativamente al di sotto della media europea”. Solo il 16% delle attivazioni di rapporti di lavoro assume però forma di contratto a tempo indeterminato. “Per questo è necessaria una riforma ‘non violenta’, in cui il rapporto tra persone e con la natura cambi completamente”.

(Foto SIR)
Per Andrea Dellabianca, presidente della Compagnia delle Opere, “se la quotidianità del lavoro non ha più senso, bisogna ripensare le domande ‘per cosa’ e ‘per chi’ lavorare. Questo fa sì che le aziende stesse si siano dovute ripensare, ma senza un ambito educativo e di confronto il ripensamento non si realizza. Per rimettersi in discussione occorre un punto di consistenza anche fuori dai luoghi del lavoro, un luogo che regge la vita come la fede”.
Infine, Gianni Borsa, presidente di Azione cattolica ambrosiana. “Oggi le persone che lavorano sono più sole. È in atto, forse, una destrutturazione delle classi lavoratici, delle categorie professionali. La tutela appare in difficoltà, il sindacato è in affanno, tante volte contrastato dalla politica. Il lavoro si confronta con l’invecchiamento della popolazione e tutti gli squilibri che si conoscono; vi è un’incapacità di cogliere i fenomeni migratori e, non ultimo, occorre colmare le forti diseguaglianze di opportunità e di genere”. Da qui, secondo Borsa, tre ambiti nei quali la comunità cristiana può portare il suo contributo. “La vocazione al lavoro, l’intuizione di quale sia la propria strada; secondo, la valorizzazione del patrimonio immateriale del lavoro, specie in questa fase di grandi cambiamenti, con il ruolo dell’incontro tra persone e generazioni, la progettazione della vita personale e sociale. Chiediamoci chi siamo e con chi siamo e per chi siamo nel posto di lavoro. Vogliamo intendere – terza osservazione – il lavoro come una speranza che non è mai qualcosa di individuale, ma la costruzione di un insieme dove la comunità cristiana può essere voce profetica anche nel dire no all’idolatria del denaro, all’economia dello scarto, alla corruzione che altera le regole, alla mafia che pervade la nostra economia, alle tangenti, all’evasione fiscale. Il laico cristiano porta il Signore nel posto in cui vive tutti i giorni e il lavoro è uno di questi”.